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08 set 2015

I partiti spiaggiati

di Luciano Caveri

I partiti politici in Italia e pure in Valle d'Aosta, malgrado l'antica propensione locale alla passione per la politica che era spesso militanza, sono in crisi profonda, senza grandi eccezioni. Somigliano a cetacei spiaggiati che aspettano la fine o una soluzione liberatoria che li riporti in acque profonde per non morire, anche se è bene che chi gioisce di questa crisi profonda rifletta sul fatto che - piaccia o meno - la forma "partito", con tutti i cambiamenti necessari, resta per ora una dei capisaldi delle istituzioni. Per i pochi ormai che la leggono vale l'articolo 49 della Costituzione: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". Ma la partitocrazia ha fallito e non c'è per ora stato nessun passaggio reale da una "Prima" ad una "Seconda" o ad una "Terza Repubblica" come si favoleggia. Malgrado alcuni cambiamenti sullo scacchiere della politica, con nuove formule spesso legate ad un leader interprete del fenomeno della personalizzazione della politica, i conti ancora non tornano e questo è dimostrato - cifra che nessuno può negare perché evidente elezione dopo elezione - dall'aumento del fenomeno dell'astensionismo ed il "non voto" così forte ha come principale evidenza il fatto che nella cabina elettorale, anzi sulla scheda elettorale, un numero crescente di cittadini non trova una forza politica che li soddisfi.

Scriveva mesi fa Ernesto Galli Della Loggia sul "Corriere": «Destra e Sinistra appaiono in crisi e quasi in via di scomparsa, mentre al loro posto si va delineando per il futuro un ampio schieramento ultramaggioritario, tendenzialmente centrista, capace di inglobare quasi tutte le componenti parlamentari. Contemporaneamente si diffonde, sempre più massiccio nelle periferie ma ormai anche nel Parlamento nazionale, il fenomeno del trasformismo. Oggi è questa, nella sua essenza, la situazione che ci sembra nuova della nostra vita politica. Ma a ben vedere lo è solo relativamente». E da qui parte con un ragionamento storico, dimostrando come questa malattia sia antica nella politica italiana. Lo si vede nelle forze che reggono il Governo Renzi con un ampio schieramento di ex berlusconiani e lo si vede nell'operazione di allargamento in Valle d'Aosta del Governo Rollandin con il Partito Democratico, che è diventata stampella in puro stile trasformistico. Interessante, almeno per capire le ragioni della crisi, è il libro di qualche tempo fa di Marco Revelli, "Finale di partito", che indica i problemi e le sfide del futuro. E' un libro facile e complesso nello stesso tempo, che offre spunti di critica ed autocritica e dimostra come si debbano cercare strade nuove e non ripercorrere il vecchio modello di partito ormai decotto. Ci pensavo, riflettendo sulla situazione valdostana con quel gigante dai piedi d'argilla, di cui ho sempre parlato quando militavo nell'Union Valdôtaine (esperienza di cui non rinnego nulla), perché in ultimo vedevo di persona come - ed è la ragione per cui me ne andai - agli ideali autonomisti proclamati non corrispondesse più un'azione reale conseguente, ed in questi anni più recenti questa deriva è diventata così evidente da creare imbarazzo e persino dolore in chi ci ha messo l'anima e tanto lavoro. Ma soprattutto, già prima che il distacco dalla popolazione diventasse così clamoroso, si avvertiva un pericoloso scollamento fra la partecipazione politica sempre più ridotta e invecchiata, come età degli adhèrents, ed il successo elettorale che appariva spesso effimero, perché basato sempre di più su logiche clientelari piuttosto che su una vero approfondimento della "Question valdôtaine", dei suo problemi e - diciamolo forte! - ai suoi ideali. A questo si aggiungevano fenomeni di "occupazione" del "Mouvement", ormai divenuto rigidamente partito sino all'affermazione sempre più forte di una disciplina da "centralismo democratico". Spicca in questo processo di perdita d'identità il travaso del vecchio Partito Socialista nell'Union con una trasfusione di voti ma anche di metodi e di mentalità, la cui portata un giorno spiccherà con chiarezza in tutta la sua negatività. Ma si è dimostrata non facile l'alternativa al sistema di governo attuale e alla sempre più marcata visione personalistica del presidente Augusto Rollandin, che si è dimostrato abile nella già rodata capacità del "divide et impera" sia attraendo parte dell'opposizione con l'operazione, avvenuta con benedizione persino del premier Matteo Renzi, di seduzione verso un PD valdostano in cerca d'autore, ma anche creando situazioni di apparente (essendo il regista sempre lo stesso...) cambio di scenario che hanno affascinato, e per un attimo illuso, anche parte del mondo autonomista antagonista. Giochi di prestigio, che nascondano una totale mancanza di visione del futuro. La grande crisi dei partiti e la situazione di stallo della politica valdostana obbligano tutti a riflettere, compresa l'Union Valdôtaine Progressiste di cui faccio parte e che dovrà, in un prossimo Congresso, analizzare a fondo la situazione e annusare quel clima che allontana i cittadini dai partiti tradizionali per non cadere nella stessa trappola. La strada del movimentismo, alle origini dell'autonomismo contemporaneo, resta un punto di riferimento per non scimmiottare chi oggi si trova di fronte al baratro. Le energie ci sono e bisogna darsi da fare, perché una politica valdostana debole e non rappresentativa appare del tutto utile per chi vuole, da fuori e purtroppo da dentro, distruggere l'attuale forma di Autonomia, imperfetta e in difficoltà, ma la cui alternativa - visto che mai come oggi la speranza federalista appare distante in Italia e pure con la complicità di chi ha finto di credere nel federalismo - sarebbe la fine di ogni forma di presenza istituzionale della Valle d'Aosta. Un addio a cui non voglio compartecipare.