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24 ago 2015

Luoghi del cuore e la loro anima

di Luciano Caveri

Capita ogni tanto di trovarsi in posti del cuore, dove si incontra per simpatia e armonia - dicendolo con Gustave Flaubert - "l'âme des lieux". Sono luoghi che facciamo vivere e parlare attraverso di noi, visto che loro - bellezze naturali, paesaggi, monumenti - sono testimoni silenziosi che incrociano le nostre vite. Anche se mi piace pensare - senza aspetti esoterici, per carità! - che spetti a noi scoprire, tramite loro, quello che i latini chiamavano "genius loci", cioè una sorta di nume tutelare, che poi può essere più prosaicamente una lettura storicizzata oppure un'adesione sentimentale a luoghi prediletti. Io ne ho tanti di posti così e molti li coltivo solo nei ricordi, altri li frequento con l'ovvio gioco del confronto fra quel che era un tempo e quel che è diventato. Tutto è lecito nel parallelo, ma l'importante è non scadere nel solo rimpianto, perché i luoghi cambiano e bisogna prenderne atto e tutto si muove vorticosamente intorno a noi.

Ci vogliono nuove generazioni di storici che trovino per i tempi attuali una nozione nuova rispetto alla "longue durée", termine utilizzato dalla scuola francese degli storici delle "Annales" per designare un approccio che dava la priorità alle strutture storiche di lunga durata più che agli eventi. Oggi siamo alla "courte durée" con il mondo che ci cambia sotto i piedi! Ma torniamo al punto: in una passeggiata estiva, torno in un luogo cult della mia infanzia, Pila. Ne ho già scritto qualche volta e a fine anno ci saranno pure delle puntate in televisione su RaiVd'A, che partono dal rinvenimento piuttosto fortuito di molto materiale girato dagli anni Cinquanta con pellicola amatoriale. Sono immagini interessanti che, da quadri familiari, ricostruiscono un insieme corale di società e comportamenti. Chissà quante immagini filmate o fotografie passano di mano in mano fino a perdersi o con esse documenti utili per raccontare certe epoche. Ecco: dal profondo della mia infanzia tornano in superficie immagini di una Pila assieme diversa è sempre uguale. Diversa perché è una Pila precedente a quello sfregio di "Alpila", la costruzione che era concepita per fare della località una stazione "ski total" alla francese. Ci vorrebbe il tritolo e poi una bella bonifica, come è stato fatto per l'albergo costruito negli stessi anni da Ennio Pedrini a Lillianes e - anche su mia iniziativa - raso al suolo perché era un ecomostro. Diversa perché Pila era solo la montagna degli aostani, prima d'estate in spartane case vacanze a due passi dai mayen e poi d'inverno con la scoperta dello sci e l'ovovia, uno dei primi impianti che partiva da Aosta. Diversa perché un villeggiante di allora resterebbe sconvolto dai "marziani" del "downhill" che scendono giù per sentieri come razzi. Cosa resta di uguale? Appena entri nei boschi il profumo di conifere e dovunque i colori della conca. La straordinarietà del paesaggio che copre larga parta delle cime valdostane in un belvedere con pochi eguali. Penso a quella parte, naturalisticamente intatta, che dà sulle montagne aostane, la Becca di Nona e l'Emilius, la vetta dell'alpinismo domestico della città. E poi lui, il lago di Chamolé, eredità di un ghiacciaio scomparso, di cui resta l'anfiteatro e dove sulle sponde delle sue acque verdi ho fatto straordinari picnic da bambino. Mi immaginavo quel lago cristallino di alta montagna, quando leggevo di Re Artù e della Dama del Lago che usciva dalle acque per offrirgli la spada "Excalibur". Fantasie, pensieri, associazioni di idee: tutto è lecito attorno ai nostri luoghi del cuore.