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03 ago 2015

Expo2015: la Valle d'Aosta per una sola settimana

di Luciano Caveri

Dev'essere molto bello da vedere lo stand della Valle d'Aosta ad "Expo2015", curato dall'architetto Leonardo Macheda, il cui estro è un fatto ben noto. L'idea delle sensazioni e delle emozioni "fredde" (ghiaccio e neve in epoca di gran calore!) mi pare azzeccata per valorizzare l'alta montagna valdostana. D'altra parte è questa una delle caratteristiche forti del nostro territorio, che lo rende in parte irripetibile nel contesto alpino (penso all'altimetria e ai diversi ambienti naturali presenti) ed è bene presentarlo al pubblico.
Mi spiace che non potrò visitare lo stand dal vivo e dovrò di conseguenza accontentarmi di foto e filmati: l'organizzazione della mia estate non mi ha, infatti, permesso di andare a Milano nell'unica settimana di apertura dello spazio della Valle d'Aosta, anche se all'Expo in visita andrò di certo e mi sto documentando.

E permettetemi di dire, pur avendo seguito distrattamente la nascita dell'apposita società di scopo valdostana, che una sola settimana di presenza per la Valle d'Aosta è francamente ridicola e poco consola il solito ragionamento che altre iniziative ci sono state e ci saranno. Quel che conta dell'Expo è anzitutto essere "fisicamente" all'Expo. Tutto il resto va bene, ma non copre il buco dell'assenza. E non mi infilo in spiacevoli comparazioni con i soliti noti, come Trentino o Alto Adige-SüdTirol, perché non mi pare che ci sia neppure una partita da giocare, intanto è proprio sui tempi di presenza (ricordo che neppure ad "Eataly", nella rotazione dei ristoranti regionali, ci sarà la Valle d'Aosta). Si dice: bisognava essere del tutto "risparmiosi" perché il bilancio regionale è ormai quello che è. Da bello ricco che fu, malgrado i flirt prima con Silvio Berlusconi e poi con Matteo Renzi, è sceso sempre più in picchiata. Ma se ne parla poco, come se questa austerità fosse frutto di chissà quale disgrazia immanente, come un tragico accidente voluto dalla sorte ostile, e non frutto di errori nei rapporti politici. Molti amici a cene e inaugurazioni, ma poi il conto lo hanno sempre pagato i cittadini valdostani, che vedono ridursi il loro benessere e la qualità della loro vita. Trovandosi con la sgradevole sensazione che quello che va considerato un diritto statutario - vale a dire un ordinamento finanziario congruo e stabile - segua alla fine, tolta tutta l'imbarazzante propaganda da "Minculpop", il destino della vecchia "politica del rubinetto". Peccato che a tagliare i flussi finanziari siano stati gli "amiconi" di Palazzo Grazioli e delle sciate a Courmayeur. Così l'Expo si è ristretto mano a mano all'essenziale di una presenza di una settimana in sei mesi e dunque va considerata per quella che è: un'occasione perduta per farsi vedere in una vetrina dove, se si va, meglio farlo bene. Lo scrivo anche se chi mi legge abitualmente sa quanto io consideri anacronistico, per un Paese come l'Italia, ospitare un baraccone come l'Expo, pensando poi a certi scandali già esplosi prima dell'apertura e a certe storie da barzelletta che riguardano il numero di visitatori andati sinora all'Expo, che paiono non corrispondere alla realtà per colpa dei... tornelli. Ma temo che post Expo ne vedremo e sentiremo ancora delle belle... Tornando alla presenza valdostana "risparmiosa", basta guardare il bilancio regionale pure ormai magrolino per rendersi conto che soldi per stare di più all'Expo c'erano e senza immaginare chissà quale operazione "lacrime e sangue" su altri settori. Si tratta dunque - chiamiamola con il suo nome - di una scelta politica, quella di avere all'Expo un profilo basso e fare una "toccata e fuga" perché non andarci proprio sarebbe stato brutto. Forse un giorno Leonardo La Torre, che se ne andò da "ExpoVda" sbattendo la porta, ci racconterà meglio - e lo farà di certo con la sua ruvida franchezza - come siano andate le cose e perché con sette giorni di presenza facciamo la figura, come direbbe scherzando un milanese, dei "barbùn".
Insomma, anche per questioni di equilibrio politico di una maggioranza zoppa (ma adesso "#perilbenedellacomunità" ci sono le stampelle del Partito Democratico), la società di scopo doveva essere una macchina da corsa, ma il budget via via ristretto ha obbligato tutti - con il massimo rispetto per chi ci lavora - ad accontentarsi di un'utilitaria. Fare le nozze con i fichi secchi resta sempre un'impresa difficile.