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16 lug 2015

Churchill e il Cervino

di Luciano Caveri

In questi giorni, in vista dei 150 anni dalla conquista della vetta, si parla molto del Cervino, la montagna "africana" (uso il virgolettato perché in realtà l'intera Italia faceva parte di quel Continente antichissimo chiamato dagli esperti "Africa"), che nella sua straordinaria unicità è un vanto per la Valle d'Aosta, anche se la gran parte della montagna è in territorio vallesano (ma la vicinanza premia il nostro versante). Ancora ieri sera leggevo negli occhi del mio figlio più piccolo, Alexis, lo stupore che si può provare a quattro anni a vedere volteggiare attorno alla "Gran Becca" - pur con un passaggio rapidissimo - gli "Aermacchi" delle "Frecce Tricolori". Ieri per radio, con Marco Jaccond, abbiamo percorso diverse tappe della storia di questa celeberrima vetta, vista dagli occhi e dai sentimenti umani, a seconda delle epoche. Le espressioni della Natura seguono, infatti, i cambiamenti nella nostra percezione a seconda delle culture che si succedono. Come sempre capita, quando si prepara una trasmissione, che appare poi filante all'ascolto, bisogna documentarsi con serietà, specie se si cercano spunti originali e non quell'insopportabile chiacchiericcio di una parte di radiofonia, dedita a quello che volgarmente viene chiamato "cazzeggio".

Fra le letture, ho trovato molto interessante, su "L'Express" di una ventina di anni fa, un articolo del giornalista Éric Conan, di cui vi propongo un passaggio con una vicenda che mi era del tutto ignota. Ecco il riferimento che trovo interessante: "Les mythologies de l'ascension, de la hauteur et du dépassement qu'il suscitera valurent au Cervin un attrait particulier chez les politiques. Le cas le plus emblématique reste celui de Winston Churchill, qui raconte dans ses Mémoires ("My Early Life") son émotion quand il a vu, pour la première fois, la silhouette parfaite se dessiner sur l'écran du collège de Harrow, lors d'une conférence donnée par Whymper lui-même. A 19 ans, en 1893, il part en Suisse avec son frère et un précepteur avec une seule idée: «faire» le Cervin. Mais après avoir gravi le Wetterhorn (3.701 mètres) et le Mont Rose (4.634 mètres) l'expédition du Cervin se révèle trop coûteuse pour le budget du voyage et «le précepteur estimait cette ascension trop dangereuse». Il ne réussira jamais à combler cette frustration et ses proches en reconnurent la trace dans la surprenante allégorie alpine de son plus célèbre discours de guerre, prononcé à Leeds, le 16 mai 1942: «Nous sommes parvenus à une période de la guerre où il serait prématuré de dire que nous sommes arrivés au sommet, mais nous l'apercevons maintenant. Les Nations unies arriveront à la cime et auront alors non seulement l'occasion de battre et de soumettre les forces du mal, mais elles découvriront une perspective plus nouvelle et plus grande»". Sarebbe stato, infatti, difficile capire questa metafora alpina, immaginando poi che nell'immagine iconografica del robusto e bon vivant Churchill si celasse un passato da giovane sportivo. Ma l'articolo prosegue con altri esempi sul fascino del Cervino verso i "potenti": "Coïncidence, le ministre de la guerre américain Henry Stimson connaissait lui aussi le Cervin, pour l'avoir gravi, dans des conditions très difficiles, avec Joseph Pollinger, l'un des plus grands guides de Zermatt, en 1896, trois ans après la tentative manquée de Churchill. Rite initiatique ou confirmation de puissance, la conquête du Cervin ne cessera de connaître la fréquentation des politiques ou futurs politiques: Achille Ratti, futur Pie XI (1889), le duc des Abruzzes (1892), le prince Louis d'Orléans (1898), Albert Ier de Belgique (1910), le duc d'Aoste (1925), le prince Chichibu, prince impérial du Japon (1926), Ferdinand de Bulgarie (1933), Marie-José de Piémont, reine d'Italie en exil (1941)...". E' molto onesto, da questo punto di vista, Amé Gorret, il sacerdote e alpinista, pieno di anticonformismo, protagonista dell’epopea della conquista del Cervino, quando scriveva: "Le Mont-Cervin, cette montagne si fière et si belle que nous pouvions voir tous les jours, le Mont-Cervin, devant lequel les étrangers s'arrêtent frappés d'admiration, le Mont-Cervin ne nous frappait pas". Il mito del Cervino, insomma, era per i montanari la normalità del proprio paesaggio, ma attraverso gli occhi degli altri diventò invece - anche per loro - oggetto di desiderio nella lunga rincorsa verso la vetta.