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02 lug 2015

Una cuffia sulla testa

di Luciano Caveri

In questi giorni, con evidente divertimento, mi trovo al microfono di "Radio RaiVd'A" con un appuntamento quotidiano. Un'oretta di trasmissione al giorno per un lavoro che, se fatto con passione, è molto inventivo e artigianale nella definizione delle scalette, fatte di temi da trattare, ospiti da invitare, musiche da scegliere. Ma soprattutto la radio è improvvisazione: parlare a braccio, raccontando delle cose, mettendosi in situazioni rischiose in cui parli sul filo dei tuoi pensieri e cerchi di non impaperarti. «Prendere una papera» è un feroce modo di dire che canzona appunto chi si blocca, farfuglia, s'inciampa nelle parole con un esito che somiglia al verso un po' ridicolo della papera (che credo che si dica tecnicamente "starnazzare"). Capita di riflettere come il gesto di mettersi la cuffia e iniziare la trasmissione sia un atto con cui ho cominciato a familiarizzare una quarantina di anni fa. Era qualcosa di incredibile per un ragazzo l'idea di parlare al microfono e con una specie di magia la tua voce surfava sulle onde radiofoniche per riapparire in un ricevitore.

Ha detto un grande conduttore radiofonico americano Casey Kasem: «Sostanzialmente, la radio non è cambiata nel corso degli anni. Nonostante tutti i miglioramenti tecnici, è ancora un uomo o una donna e un microfono, la riproduzione di musica, la condivisione di storie, il parlare di diverse questioni - il comunicare con il pubblico». Segnalerei forse che, visti i molti spostamenti in auto, capita di più un ascolto "on the road" piuttosto che l'ascolto domestico, anche se la ricezione dalla televisione e quella via Internet ha offerto nuove fasce di pubblico. Certo, pensando al passato, sentirsi dire «ti ho sentito alla radio», nell'epoca di esordio delle radio private, era un modo per aggiungere emozione all'emozione già forte di sentirsi liberi su un terreno nuovo, non ancora dissodato, come avveniva per un pioniere del Far West. Insomma, passano gli anni, e non viene mai meno il fascino della comunicazione a distanza. In questo senso, mi sento di spezzare una lancia per la radiofonia locale, che dovrebbe essere una variante assai interessante per l'informazione e l'intrattenimento, i cui confini per altro sono ormai flebili e in continua dissoluzione. La radio locale o le trasmissioni locali di una radio sono un'enorme e interessante cantiere. L'aspetto deprimente del modello italiano, che si sarebbe potuto dimostrare una vera e propria spazio da riempire, è che pian pianino ha avuto la meglio la logica da parte delle emittenti locali dello scimmiottamento dei network nazionale con processi imitativi deprimenti e di conseguenza risultati scarsi. Una delle ragion d'essere dell'"etere libero" - rispetto al monopolio della "Rai" - stava proprio nel segnalare come nel bouquet di un'offerta multiforme e pluralista ci dovesse essere una solida radiofonia locale, legata ai diversi territori con competenza e contenuti. E invece lo scatto di qualità non c'è stato, tranne rare mosche bianche, e ascoltare la miriade di radio locali, che siano regionali o provinciali, è deprimente per la mancanza culturale e imprenditoriale di progetti che consentano a certe radio di essere specchio dei luoghi da dove trasmettono. Sarebbe ora di fare pulizia, in parte sfruttando il passaggio alla radio alla tecnologia digitale. Ormai gran parte delle emittenti locali hanno perso un loro ruolo e vivacchiano nella loro inutilità e senza più avere voglia di fare il loro mestiere. Così da straordinario campo di sperimentazione e pure di nuovi posti di lavoro larga parte della radiofonia - e questo vale anche per certi network nazionali - langue e non si vede bene quale potrebbe essere una ragionevole evoluzione. E' uno dei casi di scuola delle liberalizzazioni all'italiana, frutto del giusto desiderio di aprire un mercato alla concorrenza e così avvenne per mano della Corte Costituzionale, perché il Parlamento traccheggiava e gli interventi del Legislatore furono solo un inseguimento rispetto ai fenomeni in atto. Morale: la mancanza di regole immediate, la scarsità di controlli, la catatonia dell'opinione pubblica hanno creato un fallimento vero e proprio. Sarebbe onesto prenderne atto, senza sperare che ci sia sempre una mano invisibile del Mercato che mette a posto tutto.