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02 giu 2015

Ciclismo e Alpi, aspettando il Giro d'Italia

di Luciano Caveri

Il "Giro d'Italia" attraverserà tra poche ore la Valle d'Aosta e la memoria torna indietro. Il "Giro", nel mio passato e credo per tanti come me, aveva almeno tre valenze. La prima: segnava per noi studenti l'avvicinarsi della fine dell'anno scolastico attraverso le straordinarie cronache radiofoniche o le più moderne immagini televisive (le telecronache di Adriano De Zan erano straordinarie). La seconda: più di oggi le gare avevano un ampio seguito popolare, io conoscevo da ragazzino nomi e caratteristiche dei ciclisti e d'estate sulle piste di sabbia (forgiate con il sedere, se opportunamente trascinati) si combattevano battaglie epocali, come facevo con mio cugino Luca, io con la biglia di plastica con la foto di Felice Gimondi, lui con quella di Gianni Motta. La terza era, quando capitava, il passaggio del "Giro" in Valle. Mi piazzavo davanti a casa mia, a Verrès, prima aspettando la "carovana", che lanciava gadget in un crescendo di clamore da circo fra auto e furgoni, poi con il passaggio sullo stradone della circonvallazione dei ciclisti, sempre in gruppo e con una velocità che li concedeva alla vista, con una certa delusione, solo per una frazione di secondo. Il ritorno del "Giro", insomma, mi riempie sempre il cuore di gioia. Domani la tappa sale al Breuil-Cervinia, omaggio ai 150 anni dalla prima scalata della "Grande Becca", mentre l'indomani si parte da Saint-Vincent con direzione Sestrière.

Ma l'occasione è buona per ricordare che, senza colli alpini da scalare, la leggenda del ciclismo a tappe non sarebbe tale. E lo stesso vale per gli "scalatori". Ha scritto il grande giornalista Domenico Quirico: «Il passista, lo sprinter emergono dalla cacofonia, cercano il guizzo dell'ultimo che parla e ha ragione. Lo scalatore no, lascia il fardello della vita comunitaria, del "peloton", si arrischia, va nel vuoto, vede il cielo attraverso i pedali». Cominciando nella mitologia, se si vuole, dal "Tour de France" del 1952 e dalla celebre foto, che doveva segnare una sorta di armistizio nella lotta fra Fausto Coppi e Gino Bartali. Siamo sul classicissimo Col du Galibier, Alpi francesi, e l'immagine ritrae un passaggio di borraccia fra i due campioni: Ginaccio diede, con la sua inventiva, molte versioni diverse dell'episodio, mentre Coppi tacque sui fatti. La realtà è meno poetica: anzitutto non era una borraccia, ma una bottiglia d'acqua. Lo scatto lo fece il fotografo Carlo Martini sul "Galibier", accordandosi con il direttore di corsa. Martini fermò la moto, e pare volesse dare la bottiglia a Coppi, ma Bartali scattò in quell'istante e così la lanciò a Gino, che beveva poco in corsa, mentre Coppi beveva moltissimo. Bartali gliela passò e l'immagine - che non era spontanea ma costruita - fece il giro del mondo. Ma episodi analoghi da leggenda, dallo Stelvio al Mortirolo, dall'Alpe d'Huez all'Iseran, hanno fatto appassionante il ciclismo sia nelle salite, dove spesso si decidevano "Giro" e "Tour", ma anche nelle discese mozzafiato (leggo in questi giorni che mancherebbero gli specialisti che un tempo guadagnavano tempo scendendo come matti). L'apoteosi per la Valle d'Aosta (che sul "Giro d'Italia" ha sempre avuto l'handicap dell'apertura tardiva dei nostri Colli per ragioni di altitudine e dunque di innevamento) fu il "Tour de France" del 2009, quando nella stessa tappa da Martigny a Bourg-Saint-Maurice i corridori fecero sia il Colle del Gran San Bernardo che quello del Piccolo (dove il "Tour" era già passato nel 1949 e nel 1963, quando quel valico aveva ben altra importanza in assenza del tunnel stradale del Monte Bianco). Faccio notare che esistono una miriade di libri per cicloamatori, che descrivono tappe dei valichi alpini e pure un percorso ideale che attraversa tutte le Alpi sulle tracce dei grandi del ciclismo. Si tratta, naturalmente, di un turismo assai interessante, neppure troppo di nicchia, perché certe salite per un appassionato valgono almeno la faticaccia per una volta nella vita. Ma, intanto, vale la pena di godersi la Valle d'Aosta tinta di rosa (pure io ho un tulle così colorato sul balcone per accoglienza), il colore classico del "Giro" nel nome della rosea per eccellenza, la "Gazzetta dello Sport", legata da sempre a questa gara.