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03 giu 2015

Elezioni regionali senza regionalismo

di Luciano Caveri

Si vota nelle prossime ore in alcune delle Regioni a Statuto ordinario. Sono incuriosito, anche perché i sondaggi non prendono più un canale, dall'esito del voto, che pare piuttosto incerto. Non è un caso se i leader si sono spesi sino all'ultimo e con un presenzialismo che dà il senso della posta in gioco. Prevedibile che saranno pochi quelli che ammetteranno la sconfitta, ma di certo non si potrà far finta di niente su questo test elettorale, comunque vada a finire. E' da supporre che il primo partito sarà, anche questa volta, quello degli astensionisti e delle schede bianche e nulle (nelle ultime comunali valdostane amici scrutatori mi hanno raccontato di pittoreschi improperi rinvenuti). Per cui, a essere realisti, chi vince e pure chi perde rischia di farlo solo per un pezzo dell'elettorato e questo nella democrazia rappresentativa suona come un campanello d'allarme. Lo scrittore francese Robert Sabatier ha osservato caustico: «C'è un'azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino e consiste nel togliergli la voglia di votare». Sarà bene applicarsi all'argomento, smettendola di far finta di niente o anzi di esaltare la mancata partecipazione come segnale di democrazia matura in cui il suffragio universale diventa uno strumento old style.

Queste votazioni avvengono nel momento peggiore per il regionalismo. Le molte inchieste sugli sprechi delle Regioni, specie sull'uso distorto dei fondi dei Gruppi (la giurisprudenza aostana è per ora controcorrente), non hanno certo aiutato. E le recenti polemiche sui candidati "impresentabili" (nella mia ingenuità ero fermo a quelli "incandidabili" ed "ineleggibili"…) non aiutano a creare un feeling con l'opinione pubblica, anche se esaltare certi personaggi porta a questo. Così come le voci di modifica della legge Severino, che punisce gli amministratori colpiti già da una condanna in primo grado per determinati reati, crea l'impressione - così come i giudizi verso la Magistratura - che gli atteggiamenti mutino a seconda della convenienza, senza una linea coerente e costante. Ma il regionalismo è in crisi per altre ragioni e il fatto stesso che di tutto si parli in campagna elettorale, ma non del regionalismo, è segno che l'andata centralista colpisce duro. Il vecchio direttore del "Corriere della Sera" ha scritto giorni fa sul "Corriere del Ticino": «C'era una volta il federalismo italiano. Prometteva ampie vallate verdi di buona amministrazione e ridotta pressione fiscale. Guardava alla Svizzera con invidia e ammirazione. E si proponeva di fare addirittura meglio. Poi all'improvviso è passato di moda. Dimenticato. Come l'oggetto più vile nelle stazioni ferroviarie della politica. E l'impressione generale è che nessuno si presenterà allo sportello degli oggetti smarriti. Che cos'è accaduto? Il federalismo è stata la grande battaglia di Umberto Bossi e della Lega dagli Anni Novanta in poi. Un'idea vincente e suggestiva. Allora. Nelle regioni più virtuose del Nord non vedevano l'ora di liberarsi del peso dei trasferimenti alle amministrazioni del Sud, notoriamente inefficienti. Per gestire meglio, controllare di più, pagare meno tasse. La sinistra, presa in contropiede, si svegliò di colpo. Seppellì la propria tradizione centralista e, nel timore di perdere le elezioni del 2001 (cosa che poi avvenne), cambiò in tutta fretta la Costituzione per favorire un maggiore decentramento delle funzioni. Il risultato? Una confusione di ruoli tra Stato e Regioni. La moltiplicazione dei ricorsi alla Corte Costituzionale sulla legislazione concorrente. E una velenosa coda fiscale. La tassazione immobiliare, con l'ICI - la più tipica delle imposte locali - era pari nel 2011 a circa dieci miliardi di euro. Nel 2014 il gettito di IMU e TASI (i nuovi nomi delle tasse locali) è stato pari a 25 miliardi con un aumento del 153 per cento, in gran parte drenato dallo Stato, ma fatto pagare dagli Enti locali. Una beffa. Il Governo centrale annunciava di voler ridurre la pressione fiscale e poi Regioni, Province e Comuni si rivalevano ritoccando le addizionali. Il cittadino pagava e paga, ma se la prende più con sindaci e governatori che con il Governo centrale. Un esempio, il bonus di 80 euro di Matteo Renzi è stato finanziato colpendo le Autonomie locali, alle quali, dal Governo Monti in poi, sono stati chiesti sacrifici crescenti, in parte giustificati, visti sprechi e scandali». Vado alle conclusioni: «Il colpo di grazia al federalismo italico è arrivato per via giudiziaria. Con i troppi scandali che hanno rivelato non solo le miserabili pratiche dei rimborsi allegri ma soprattutto l'inconsistenza di una classe politica locale che avrebbe dovuto innalzare orgogliosa il vessillo del decentramento virtuoso. E invece ha finito per replicare le peggiori abitudini dei vecchi e odiati partiti centralisti. Che peccato! Sono tante, non solo al Nord, le Amministrazioni locali efficienti e oneste. Per un curioso destino, sono chiamate a sopportare - anche con il "Patto di stabilità" interno - sacrifici che non meritano. Sono le vere vittime di un federalismo italiano trasformatosi negli anni in un costoso e confuso policentrismo anarchico». Aggiungerei che molta della campagna elettorale di queste regionali si è imbevuto di anti-regionalismo, quello per altro in agguato nella riforma costituzionale in corso, che prevede per lo Stato una "clausola di supremazia" che ci fa arrestare in una visione dello Stato ottocentesca e non in linea con l'Europa. Il colmo sono i partiti e persino certi candidati presidenti che si candidano nelle Regioni per... abolirle e come non segnalare altri candidati che hanno fatto dell'abolizione delle Speciali e persino dell'accorpamento forzoso delle Regioni più piccole a quelle più grandi la loro bandiera. Un clima pesante, che mostra anch'esso lo sbandamento della Democrazia. Altro che federalismo!