Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
07 giu 2015

L'uomo solo in politica

di Luciano Caveri

Michele Ainis è un acuto costituzionalista che scrive editoriali sul "Corriere della Sera" ed ha una rubrica su "L'Espresso". Apprezzo il suo anticonformismo e il fatto che non sia affetto, come molti intellettuali italiani, dal vizio di accarezzare il potere emergente. Così Ainis osserva il renzismo con freddezza e ironia. Sull'ultimo numero de "L'Espresso" così esordisce: «Ogni stagione della storia alleva uno spiritello che le soffia nell'orecchio. Si chiama Zeitgeist, lo spirito del tempo. E questo è il tempo della decostruzione, o meglio della rottamazione, per usare lo slogan di Matteo Renzi. Il suo successo sta tutto in questa chiave, nella capacità d'intercettare e dare sfogo a una pulsione collettiva. Dunque via le vecchie classi dirigenti, le vecchie istituzioni, le vecchie prassi sociali. Del resto succede in politica come nella vita: c'è un tempo in cui si costruisce e un tempo in cui si demolisce. Anzi: le ruspe servono per far spazio ai muratori, così come il divorzio è indispensabile per contrarre un nuovo matrimonio. Ma quale futuro si proietta dal presente? Qual è il segno della prossima stagione?».

La risposta è secca e assieme articolata: «E' la reductio ad unum, per dirla con un'espressione antica. Uno al posto di molti. Basta ascoltare il nostro premier, per ottenerne la conferma. L'ultima uscita è del 22 maggio: "Vorrei un sindacato unico". Susanna Camusso e gli altri leader sindacali sono saltati sulla sedia, hanno evocato Benito Mussolini e Iosif Stalin, ma ormai ogni loro protesta è senza testa. La "disintermediazione", il rifiuto dei corpi intermedi, ha già ghigliottinato la "Cgil" non meno che la "Confindustria". Però la ghigliottina venne brevettata dalla Rivoluzione francese, non dai totalitarismi del secondo Novecento. Il 14 giugno 1791 la legge Le Chapelier proibì corporazioni e associazioni, in nome dell'unità del popolo, della "volonté générale" teorizzata da Jean-Jacques Rousseau. E nei decenni successivi quel divieto rimbalzò nei codici penali dell'Austria, dell'Inghilterra, del Portogallo, perfino dello Stato Vaticano». Ma l'argomentazione è sottile verso il renzismo: «Renzi tuttavia non vuole porre fuori legge i sindacati: gli basta che il plurale diventi un singolare. Dai sindacati al sindacato; e magari dai partiti al partito. Non è forse questo l’obiettivo dell'Italicum, col suo premio di maggioranza elargito a un unico partito, anziché alla coalizione? Ma, dopotutto, ogni riforma avviata dall'esecutivo Renzi muove nella stessa direzione. Il superamento del bicameralismo paritario, che di fatto si sbarazza del Senato. La riforma della riforma del Titolo V: un taglio netto alle competenze regionali, torna centrale lo Stato centrale. Nel primo caso uno al posto di due (Camere), nel secondo caso uno al posto di venti (Regioni)». Chi mi legge sa che da tempo queste sono le mie tesi, perché questo centralismo alla fiorentina vuole distruggere il regionalismo e le Speciali sono già nel mirino, malgrado le dichiarazioni rassicuranti su cui si potrebbe chiedere ad Enrico Letta defenestrato da Palazzo Chigi ("Enrico #staisereno..."). Così termina l'editoriale di Ainis: «E non è finita, perché il verticismo si propaga dalle istituzioni all'economia, al lavoro, agli assetti sociali. Da qui il "Jobs Act": estendendo il potere di licenziamento, estende al contempo il potere dei manager. Da qui "la Buona Scuola", che consegna il bastone del comando ai dirigenti scolastici. Il medesimo bastone che Renzi prese in pugno all'avvio del suo Governo, concentrando su di sé le cariche di premier e segretario del PD. Diciamolo: è un cambiamento epocale. Sul versante delle istituzioni, timbra il passaggio dalla democrazia parlamentare a una democrazia esecutiva, perché l'Esecutivo s'impadronisce dello stesso Parlamento. Sul versante sociale, è il funerale della concertazione, in nome del rapporto diretto fra il leader e i propri elettori. Sul versante culturale, è la crisi del pluralismo, del frazionismo, dell'assemblearismo, nonché di tutti gli altri "-ismi" che ci aveva recato in dote il Sessantotto: ne era sopravvissuta talvolta una caricatura, adesso non rimane neanche quella. Ma forse il demolitore non è Renzi, lui è solo il megafono che dà voce al nostro tempo. In economia, per esempio, la disintermediazione è già stata operata dalla Rete, che ha messo in crisi l'industria del turismo come quella culturale, dato che ogni utente può servirsi à la carte scavalcando le agenzie di viaggio al pari delle case discografiche, degli editori, dei giornali. Sicché dobbiamo rassegnarci: nel monoteismo che avanza siamo tutti soli davanti al nostro Dio. E quel Dio uno e bino è al contempo il nostro dittatore, sui banchi di scuola, nei luoghi di lavoro, nelle cabine elettorali. Vabbè, confesso: piace anche a me la dittatura. Ma temperata dal tirannicidio». Mi veniva in mente una frase fulminante di Leo Longanesi: «Abuso di potere, mitigato dal consenso popolare: ecco l'ideale della nostra democrazia».