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27 mag 2015

L'Italia in guerra, cento anni fa

di Luciano Caveri

Dopo molti tentennamenti all'italiana, cento anni fa - il 23 maggio del 1915 - l'Italia consegnava all'Austria la dichiarazione di guerra e l'indomani, come dice la celebre canzone, che so a memoria e questo indica come il ricordo fosse ancora vivo quand'ero bambino: "Il Piave mormorava, calmo e placido, al passaggio dei primi fanti, il ventiquattro maggio; l'esercito marciava per raggiunger la frontiera per far contro il nemico una barriera...".

La Valle d'Aosta aspettava, dividendosi fra i pro e i contro, che questa guerra - poi definita "Grande Guerra" per l'ampiezza e, se volete, per l'uso terribile di nuove armi (gas, aerei, carri armati...) - scoppiasse, forse non immaginando come, dall'altra parte delle Alpi, i soldati valdostani, già adoperati dai Savoia nei secoli, avrebbero pagato un enorme tributo di sangue.

Qualche cifra cruda: 8.500 giovani inviati al fronte, 1.557 caduti, 3.600 finiti in ospedale per ferite o malattie, 850 fatti prigionieri. Molti dei caduti furono Alpini del "Battaglione Aosta", comandato dal colonnello Ernesto Testa Fochi, cui è dedicata la caserma che diverrà università. Al "Battaglione Aosta", unico tra tutti i battaglioni alpini, fu conferita la "Medaglia d'oro al valor militare" per le azioni sul Monte Vodice e sul Monte Solarolo con azioni di una violenza e di un coraggio indicibili. Andate a vedere il Monumento ai Caduti del vostro paese ("RaiVdA" ne parla oggi e domani alle ore 20 in un apposito programma) e scoprirete, purtroppo, la strage di giovani che la guerra rappresentò per la nostra piccola Valle. Esiste un sito sugli itinerari lungo i luoghi storici della Iª Guerra mondiale con due passaggi. Uno è l'aspetto montano della guerra: "Uno degli aspetti della "Grande Guerra" fu la vita nelle trincee e negli appostamenti di alta montagna. Mai, prima di allora, si erano combattute delle battaglie ad altitudini così elevate. Tra le cime del Massiccio dell'Adamello (al confine tra Lombardia e Alto Adige) italiani e austro-ungarici si trovarono uno di fronte all'altro ad oltre tremila metri di altezza. Una situazione simile si verificò anche nella zona tra Trentino e Veneto, nei pressi della Marmolada, nel settore orientale del Lagorai, in tutta la parte delle Dolomiti Orientali e tra le vette delle Alpi Carniche e della Val Dogna. Anche se in queste luoghi non mancarono brigate di semplice fanteria (del tutto inadatte ad affrontare situazioni del genere), la maggior parte dei combattenti appartenevano al Corpo degli Alpini. Si trattava di giovani reclutati nelle zone di montagna, abituati a spostarsi su questi terreni, a sopportare le temperature rigide e ad ubbidire agli ordini senza porsi troppe domande". E poi il pezzo proprio sulla trincea, come simbolo della guerra: "Tutto era difficile all'interno di una trincea. Durante il periodo bellico i soldati dovevano affrontare dei momenti durissimi in prima linea, in strutture più o meno provvisorie, con il costante terrore di essere prima o poi colpiti da qualche cecchino o dal ricevere l'ordine di prepararsi all'assalto. Esperienze che segnarono molti uomini per tutta la vita, come dimostrano i molti casi di malattie mentali sviluppate già durante la guerra o appena tornati nelle proprie case. Sin dall'inizio la preparazione dell'esercito fu assolutamente insufficiente rispetto a quelle che erano le caratteristiche di questa guerra. Sia il Comando supremo che il Governo non seguirono i consigli presenti nelle varie relazioni militari alleate e non badarono nemmeno a preparare i propri uomini ad un conflitto di lungo periodo". Esistono anche per la Valle d'Aosta diari e testimonianze orali raccolte in radio e televisione (testimoni ormai non ce ne sono più per ragioni anagrafiche), che mostrano la drammaticità di quegli anni e la vita durissima sul fronte, che a me venne raccontata da un nonno materno, ufficiale di cavalleria. Io, per capire l'uso strumentale - a beneficio di Generali incompetenti - del "Battaglione Aosta" come carne da macello, consiglio, per analogia, di leggere il libro "Un anno sull'Altipiano" di Emilio Lussu, che racconta dell'uso della "Brigata Sassari", lanciata oltre le trincee per lasciarci la vita. Su questo la citazione finale, tratta appunto dal suo libro: «L'assalto! Dove si andava? Si abbandonavano i ripari e si usciva. Dove? Le mitragliatrici, tutte, sdraiate sul ventre imbottito di cartucce, ci aspettavano. Chi non ha conosciuto quegli istanti, non ha conosciuto la guerra». Verrebbe da aggiungere: per nostra fortuna.