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25 mag 2015

L'Europa disunita sui migranti

di Luciano Caveri

Credo di intendermene abbastanza di politica europea. E so bene che uno dei limiti, per quanto non si possa negare l'esistenza di una potente e efficace rete comunicativa nel nome della trasparenza istituzionale, è che i giri, prima di assumere definitivamente ogni decisione, sono piuttosto complessi. Per cui ogni annuncio è spesso solo il punto di partenza. Apro una parentesi: è indubbio che il tema dell'immigrazione vada risolto, specie con l'apertura delle frontiere che riguarda quasi tutti i Paesi comunitari, a livello europeo. Per capirci: anche una piccola realtà come la Valle d'Aosta è legata a doppio filo alle scelte finali che Bruxelles farà, perché se fallisse ogni logica di intervento comunitario, allora l'Italia si troverebbe gravata da un peso - che potrebbe risultare enorme ed insostenibile - perché la frontiera Sud dell'Italia, con il Mar Mediterraneo, è come una groviera, che può riversare milioni di persone nei prossimi anni in fuga, per varie ragioni, dai loro Paesi d'origine.

Che cosa voglia fare l'Europa con esattezza è difficile da ricostruire. Dopo un lungo periodo di melina, Bruxelles si è svegliata a colpi di morti sui barconi, che rendevano impossibile giocare su di una certa catatonia, che tendeva a scaricare sull'Italia i guai dell'assalto alle coste. Che poi l'Italia abbia dimostrato carenze enormi dal punto di vista organizzativo, compresi i tempi biblici per decidere chi abbia o no diritto all'asilo e compresa pure la scoperta agghiacciante con "Mafia capitale" di un sistema rodato di lucro sulle spalle dei migranti, è indubbio e l'elenco delle mancanze sarebbe lungo come la fame. Tuttavia, l'Italia non può restare sola e ci deve essere sul punto un'operazione verità. Ogni volta che Matteo Renzi, nelle ultime occasioni dei summit europei, è uscito entusiasta delle soluzioni trovate non ha detto la verità. Lo si vede benissimo da questa questione della divisione in percentuale dei rifugiati per ciascuno dei Paesi europei (tranne Regno Unito, Irlanda e Danimarca) e pure dall'intervento di contrasto alla criminalità organizzata o agli islamisti che gestiscono il traffico dei migranti sulle coste libiche. Si dice: «tutto a posto», ma poi si scopre - anche per l'estrema debolezza, pure a causa della sua inesperienza, di Federica Mogherini, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza - che tutto procede a rilento sul tanto atteso contrasto alle partenze, mentre sulle quote di ripartizione pesano i "no" di Paesi come Francia e Spagna (l'Ungheria non vuole neanche sentirne parlare, come altri Paesi dell'est Europa). La Commissione in sostanza si trova ad essere delegittimata dal Consiglio, cioè dagli Stati. Intanto, ovviamente, il "fattore tempo" non è per nulla banale: l'arrivo dell'estate e le condizioni del mare spingono al massimo i barconi a prendere il largo dall'Africa verso l'Europa ed ogni attesa non farebbe altro che perpetrare lo stato di emergenza, che è già straordinario. Questa situazione, se ulteriormente esarcerbata, creerà problemi mica da ridere di politica interna: la mancanza di certezze spinge la popolazione a posizioni di rifiuto e di estremismo, creando piccole polveriere che possono esplodere, laddove migranti e rifugiati (già il confine è assai tenue, perché troppi ci provano ad ottenere asilo) vengono ospitati in attesa, in molti casi, di non si sa bene che cosa. Non sono, almeno per me, in discussione valori di rango costituzionale e di diritto internazionale che riguardano l'accoglienza di chi nel proprio Paese rischia la vita perché dissidente politico o minoranza perseguitata, ma la questione delle quote - nella semplice logica aritmetica di distribuzione dei pesi a livello europeo - pone in controluce una questione nodale, che va al di là della riflessione non sempre pelosa o furbesca di che cosa fare per consentire alle persone di vivere bene nel loro Paese di nascita, e cioè: esistono limiti ragionevoli all'accoglienza o si pensa che, trattandosi di migrazioni di carattere epocale, bisogna accettare tutti senza porre un'asticella? Sono temi difficili perché l'alta politica ragiona spesso in una logica algida e distante, mentre poi a dovere intervenire nella quotidianità sono autorità locali, prese per il collo da urgenze e emergenze. Bisogna che i decisori a livelli elevati abbiano l'umiltà di capire le ricadute e le centinaia di problemi spiccioli che bisogna affrontare e non basta la retorica dei buoni sentimenti o l'evocazione legittima dei diritti civili a risolverli.