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19 apr 2015

Il Monte Bianco e un melo in fiore

di Luciano Caveri

Non è la prima volta che parlo di questo argomento. Lo faccio con il cuore in mano e con gli occhi rivolti fuori dalla finestra verso le vette ancora innevate. Considero un privilegio vivere in Valle d'Aosta e capisco i miei avi che, una volta arrivati qui a metà Ottocento, ci restarono perché soggiogati dalla bellezza dei luoghi e dalla personalità di questa comunità con tanto di matrimoni che garantirono ancora di più integrazione con la Valle. Sono reduce, per altro, da una bella giornata a La Thuile, ospite di quel meraviglioso ristorante (sulle piste d’inverno e lungo la strada verso il Colle del Piccolo San Bernardo d'estate) che si chiama "Lo Riondet", gestito da Paola ed Ivano e dai figli che proseguono la tradizione. Esempio mirabile di come le esperienze familiari possano transitare di generazione in generazione. Ci vorrebbe in Valle d'Aosta più moral suasion verso i giovani per un settore dell'imprenditoria, quello turistico, spesso oggetto di "mordi e fuggi" di imprenditori che arrivano qui da fuori solo con aria grifagna e senza interesse per tradizioni e luoghi. Non si può pensare ad una monocultura del turismo, ma certi questo è un settore destinato a crescere e va fatto in modo armonico.

Ma dicevo della bellezza di quelle zone del Colle, zona di transito sin dalla notte dei tempi, che hanno una straordinaria magia. Il collegamento con La Rosière consente quell'osmosi, anche di sciatori, pure piena di quell'internazionalità che questo sport garantisce, che crea momenti di aggregazione gioiosa anche nella curiosa koinè culinaria che una terra di mezzo come la Valle d'Aosta è in grado di garantire. E poi la Natura dei luoghi: binocolare un gruppo di stambecchi stesi al sole, con la pigrizia alla fine di un inverno tutto sommato mite che non li ha sfiancati, è bellissimo. Non riesco francamente a rassegnarmi al fatto che con marzo e poi ancor di più in aprile, mentre la stagione dello sci volge alla fine, i turisti della neve, specie italiani, disertino la montagna. Arrivano in truppe per Sant'Ambrogio, collocato in giornate corte corte e con incertezze meteo da paura, spesso con poca neve, mentre la coda primaverile non è più à la page. Si tratta di un colossale errore. Specie dopo l'arrivo dell'ora legale le giornate in alta montagna durano un'infinità. Quante volte da ragazzo si aspettava davvero l'imbrunire per rientrare nel fondovalle. Come si fa ad essere così miopi da snobbare la neve primaverile trasformata, che al mattino consente di sciare nei declivi più impervi e infilandosi in itinerari mozzafiato. E l'abbronzatura? Non c'è spiaggia estiva che tenga rispetto a quel color cioccolata che deriva dal sole preso con il riflesso della neve e con i raggi d'alta quota. E naturalmente conta anche lo scarso affollamento che rende piste e fuoripista terreno di scorribanda per chi sceglie questo periodo. Ed invece, piano piano, ci si rassegna e questo periodo diventa un fine stagione con chiusure e "rompete le righe" a causa del crollo della domanda, mentre si potrebbe far godere ai turisti la curiosa combinazione delle alte quote che oscillano fra inverno e primavera e un fondovalle ormai del tutto primaverile, pieno di straordinarie attrattive del dopo sci con luci e colori che danno quel senso straordinario di un dislivello, su e giù, senza eguali. Come vedere la neve che avvolge il panorama del Monte Bianco con un melo in fiore che fa da quinta.