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18 apr 2015

Scalfari e il renzismo

di Luciano Caveri

Val la pena di capirlo questo famoso "renzismo", in un momento in cui quel che resta dell'Union Valdôtaine - ormai partito nelle mani di uno solo, Augusto Rollandin, che si avvicina ai quarant'anni di presenza sulla scena della politica valdostana - sceglie di cedere il candidato sindaco al Partito Democratico, per le elezioni di Aosta, come ossequio a Matteo Renzi ed alla speranza che tratti la Valle con "augusta" benevolenza. Uno schema opportunistico già adoperato per l'abbraccio al berlusconismo, che avrebbe dovuto trasformare la Valle d'Aosta nel "Bengodi". Archiviato Silvio Berlusconi e le sue promesse mai mantenute, con operazione rapida e ardita, si sceglie Renzi con la medesima spregiudicatezza, mentre il PD locale - un tempo in larga parte civatiano - abbandona la critica feroce al rollandinismo, facendo una bella "inversione a U", come se nulla fosse. Una matrimonio d'interesse, con in mezzo anche il seggio senatoriale, naturalmente ammantato di nobili ideali. Che la politica sia l'arte del possibile è certo, ma anche al montanaro più "doc" dovrebbe essere difficile arrampicarsi sugli specchi.

Allora leggiamo l'Eugenio Scalfari di ieri su "La Repubblica", che parte dalla débâcle attuale della Sinistra francese: «Comincio con una citazione dello storico francese Jacques Julliard ne "Le Monde" di venerdì scorso: "Que serait une gauche sans le peuple? Le socialisme, certes, c'est une moral mais doublée d'une empathie populaire. Or une partie du peuple des gauche fait sécession et exprime un vote de désaffiliation. Il y a surtout 50 pour cent d'abstensions, c'est-à-dire une gigantesque crise du politique, un incontestable malaise dans la représentation. Les professionnels de la politique ont rongé la vie democratique". Non si poteva descrivere meglio quello che sta accadendo in Francia: "Un paysage bouleversé" che anche in Italia presenta esattamente la stessa crisi: i professionisti della politica stanno distruggendo la democrazia, la sinistra sta perdendo l'appoggio popolare e la sinistra senza il suo popolo non esiste più». Mica male e rischia, mutatis mutandis, di fotografare il destino di una parte di autonomismo valdostano. Prosegue Scalfari: «Ed ora citerò un grande discorso che Alcide De Gasperi tenne in Parlamento il 17 gennaio del 1953, alla vigilia del voto sulla legge elettorale che pochi mesi dopo fu battuta dalle opposizioni di destra e di sinistra. Fu chiamata legge truffa, ma non lo era affatto; dava un premio al partito o alla coalizione che aveva ottenuto il 50,1 per cento dei voti. "Questa legge non trasforma la minoranza in maggioranza. Se così facesse sarebbe un tradimento della democrazia. Si limita a rafforzare la maggioranza affinché sia più solida e possa governare come è suo diritto. Ma se perdesse il cinquanta meno un voto sarebbe sconfitta da chi invece prendesse due voti di più. Vi sembra che questa sia un'intollerabile sopraffazione?". Così diceva De Gasperi. Mettete insieme questi concetti espressi cinquantuno anni fa e quelli de "Le Monde" di tre giorni fa e vedrete una perfetta identità di ragionamento che descrive in tutta la sua evidenza lo stato della democrazia nel nostro Paese, aggravato in più da altri due fatti salienti: l'abolizione del Senato e una legge elettorale che non solo trasforma in maggioranza una minoranza cui mancano dieci punti percentuali per arrivare al cinquanta più uno, ma che è anche una legge di "nominati"». I retroscena delle riforme "nuoviste" sono evidenti e Scalfari ne evoca gli effetti: «Le conseguenze di queste decisioni che stanno per essere approvate tra pochi giorni sono di fatto l'abolizione della democrazia parlamentare. Un Parlamento di "nominati" in un sistema monocamerale è una "dépendance" del potere esecutivo che fa e disfà senza più alcun controllo salvo quello della magistratura se dovesse trovare un reato contemplato dal codice penale. Resta naturalmente la Corte costituzionale ma anch'essa può finire con l'essere una Corte nominata dall'esecutivo se desse troppa noia all'autoritarismo d'un governo a sua volta sottomesso alla decisione d'un autocrate e del suo cerchio magico. Gli interessati si sono assai doluti perché avevamo usato il termine di "democratura" per descrivere l'essenza di quanto rischia di accadere. Ma quale altra parola lo descriverebbe in modo più appropriato? Aggiungeteci la ciliegina che riguarda la dipendenza della "Rai" dal governo che sta per essere decisa tra poche settimane e avrete una gustosissima torta che saranno in pochi a gustare». Più avanti, dati alla mano, Scalfari dimostra come l'occupazione non sia affatto ripartita, come annunciato da Renzi e dice: «Questo fatto conferma che Jobs act è una buona legge se e quando riprenderanno investimenti e domanda, ma finché questo non accadrà il "Jobs act" è un oggetto esposto in vetrina. Gli imprenditori lo guardano ma in vetrina rimane. Salvo un punto: ha abolito l'articolo 18 per i lavoratori che saranno assunti con quella legge. Proposta da un partito che si proclama di centrosinistra mi ricorda la citazione poc'anzi riportata di Julliard: la sinistra senza popolo è morta. Renzi sostiene che si tratta di una sinistra nuova, moderna, cambiata e forse è vero. Però a me ricorda alcuni personaggi che provenivano tutti dal socialismo e che instaurarono qualche cosa che somiglia molto alla "democratura". Si tratta di Francesco Crispi, Benito Mussolini, Bettino Craxi. E chiedendo scusa ai tre precedenti (come ho già detto tutti e tre provenienti dal socialismo) mi viene anche da aggiungere Berlusconi che, ai tempi del suo sodalizio con Bettino, si proclamava socialista anche lui. Io speriamo che me la cavo, è un vecchio detto sempre attuale di fronte a rischi di tal genere». Devo aggiungere davvero qualcosa rispetto a quanto scritto da chi ha attraversato quasi un secolo di storia italiana?