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04 apr 2015

Lubitz e la sua follia

di Luciano Caveri

Si chiamava Andreas Lubitz. Tra qualche tempo questo nome sarà destinato ad un oblio, inghiottito dal susseguirsi degli orrori della cronaca nera e dei suoi protagonisti, ma resterà di certo l'eco del suo gesto spaventoso: distruggere contro una montagna dell'Alta Provenza, l'aereo che pilotava, ammazzando di conseguenza, oltre a sé stesso, 149 persone, i cui destini si sono incrociati - per una tragica combinazione - con il suo gesto suicida/omicida. Ma in questi giorni il nome del copilota di "Germanwings" ha riempito le cronache e giornalisti ed esperti, oltreché gli inquirenti, hanno sondato documenti e testimonianze per capire le dinamiche dei fatti e la personalità di questo giovane tedesco, autore di un gesto che fa restare senza fiato, sia a caldo che dopo aver letto, con effetto raggelante, le storie delle persone che il destino ha fatto sedere su quel volo maledetto. Partendo appunto dal film al rallentatore degli ultimi minuti del fatale volo Barcellona - Düsseldorf. Le registrazioni della "scatola nera" hanno rivelato un racconto dell'orrore: Lubitz chiuso da solo dentro il cockpit del velivolo, che decide di perdere quota per far schiantare l'aereo su quelle montagne, nel "Massif des Trois Evêchés", che pare avesse sorvolato da giovane con l'aliante. Fuori, con crescente clamore di fronte alla porta blindata, il comandante cercava di rientrare in cabina, capendo cosa stesse avvenendo, fino alle grida («Apri questa maledetta porta!») e al tentativo inutile di sfondare l'ingresso della cabina con un'ascia. Poi le urla dei passeggeri consci dell'imminente pericolo letale, prima dell'urto che ha polverizzato aereo e passeggeri sul costone di una vetta.

Da lì la ricostruzione necessaria di che cosa abbia scatenato l'avvenimento. Le condizioni si salute di Lubitz sono il punto attorno al quale ruota tutto: una personalità disturbata che lo costringeva ad essere sotto cura psichiatrica, peggiorata da una malattia agli occhi che ne avrebbe bloccata la carriera e da una recente delusione sentimentale con la fidanzata che aspettava un bambino. Un quadro descrittivo che conferma come il gesto folle sia derivato da una persona del tutto inadatta a pilotare un aereo, in un evidente cortocircuito fra i diritti alla privacy di un malato e la necessità di sapere di certi pericoli derivanti dalla cattiva salute mentale di chi faccia certi lavori. Confesso il mio totale stupore. Ero convinto che non ci fossero maglie così larghe e che, anzi, le selezioni per pilotare un aereo di linea fossero un percorso ad ostacoli così difficile da evitare che il matto di turno potesse nuocere in questo modo. Ovvia dunque la considerazione che vanno riviste certe procedure per diventare e mantenere i brevetti di pilota e anche nuove modalità che evitino che uno dei piloti si possa barricare ai comandi. Ma l'occasione serva anche per una disamina oggettiva dei numerosi episodi generati dalla follia e la cronaca quotidiana offre uno spettro amplissimo di avvenimenti che mostrano come le malattie mentali siano sottostimate nel loro deflagrante risvolto sociale. In fondo pure il primo approccio giornalistico sul "caso Lubitz" è stato pessimo, quando la causa scatenante pareva ascrivile ad una semplice depressione ed invece ben sappiamo che questo "male del secolo" - che colpisce decine e decine di milioni di persone nel mondo - non dev'essere demonizzato, perché per fortuna la scienza ha fatto passi da gigante nella cura. Semmai bisogna ragionare su certi tabù, in positivo e in negativo, sulla follia vera e propria, che esiste e colpisce. Riguarda quella componente di malvagità che quando c'è non può finire nell'indifferenza e neppure nello stupore per certe conseguenze ben prevedibili. Lo dimostrerà - temo, purtroppo - la chiusura definitiva dei manicomi criminali (strutture terribili per colpa dello Stato), fissata in Italia per domani. Un segno nel nome della civiltà, che permetterà tuttavia - per i cattivi meccanismi della legge, scritta con i piedi - a molti internati pericolosi di riottenere la libertà. Poi si piangeranno le vittime dei matti, ma che si sappia che era prevedibile.