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07 mar 2015

Cambiare o non cambiare?

di Luciano Caveri

Non sono un grande ballerino, ma devo dire che tanti anni fa in Brasile - esattamente a Fortaleza - passai alcuni giorni in cui mi buttai nella danza. Si trattava del "forró" (con la "R" quasi muta, come avviene anche in francese, tipo "merci"), la danza popolare per eccellenza del nord-est del Brasile, divertente e coinvolgente. Si era creata la situazione giusta! Ho sempre pensato che la politica abbia qualcosa del ballo, specie nelle alleanze politiche. Se si crea il feeling, con il clima giusto tutto fila liscio, ma se le cose non vanno e mancano simpatia, empatia e ritmo il disastro è evidente e scontenta tutti, soprattutto i ballerini. Quando capita, non bisogna farne un dramma, meglio lasciar perdere e tocca prenderla con filosofia e senza code polemiche e veleni sparsi. In Valle d'Aosta l'esempio sembra coincidere con l'interpretazione dissonante - come due ballerini che si pestino i piedi - del significato della parola "cambiamento".

La "Treccani" è chiarissima: "Il cambiare, il cambiarsi: cambiamento di casa, di stagione, di temperatura; fare un cambiamento, un gran cambiamento specie nelle abitudini, nel carattere e simile; cambiamento di stato d’aggregazione della materia; cambiamento di stato civile, eccetera; cambiamento di scena, nelle rappresentazioni teatrali e simili (spesso in senso figurato, mutamento improvviso di situazione, di uno stato di cose); cambiamento di indirizzo politico; cambiamento di mano, nella circolazione stradale, lo spostarsi di veicoli o persone da un lato all'altro della via (è anche nome, in equitazione, di una figura di alta scuola). In sociologia, cambiamenti sociali e culturali, quelli che determinano trasformazioni nella struttura sociale e culturale". Mi pare che l'ampio repertorio non sia utile per chi sostiene il cambiamento ma non lo sostanzia, perché attacca di fatto un vagone a un treno che già esisteva, senza cambiare davvero la sua direzione. Ci si accomoda solo al grido dell'abile capotreno: «in carrozza!». Legittimo farlo e anche molto umano, ma ritenere cambiamento quanto è nei fatti continuità vuol dire solo mascherare ciò che è inalterabile. Gratta gratta la verità salta fuori in fretta ed anche il più credulone lo capisce e magari scopre che certe combinazioni sono il frutto d'accordi largamente pregressi, che non spuntano di conseguenza come fossero funghi in una notte. Nulla di fresco, insomma. La conservazione non è progresso e l'evocazione del voltar pagina è strumentale. Non cambia, infatti, chi si adegua allo status quo, costruendo scenari di novità solo di nome come un alibi per giustificarsi. Il cambiamento serve "per vedere l'effetto che fa", come diceva Enzo Jannacci e sperando che il pesce abbocchi. Ma allora il cambiamento, di nome e non di fatto, è niente altro che un pretesto, che va chiamato con il proprio nome. Poi, come sempre, si vedrà.