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02 feb 2015

Arriva la Saint-Ours

di Luciano Caveri

Uno potrebbe sincronizzarci gli orologi su quella serie di appuntamenti ripetitivi che costellano la nostra vita. Arrivano con la certezza del calendario e, dopo una certa frequentazione, si partecipa con un copione già scritto e si va con la stessa sicurezza che si ottiene una volta che si è imparato ad andare in bicicletta. Automatismi, insomma. Uno di questi - per la data fissa - è la "Foire de Saint-Ours" di Aosta, il 30 e il 31 gennaio, che quest'anno nel periodico spostamento dei giorni cadrà di venerdì e di sabato e questo valorizzerà le visite del secondo giorno, che è ormai vacanza quasi per tutti. Aggiungo che parrebbe dover arrivare la neve, come esibizione di un inverno che sinora è stato mite. Se così sarà, con una nevicata la suggestione supererebbe qualunque disagio.

Verrebbe anche esorcizzato un rischio: infatti un detto popolare dice che se il giorno di Sant'Orso è una bella giornata di sole e l'orso mette fuori dalla tana ad asciugare il suo pagliericcio, sul quale giace durante il suo letargo invernale, poi, però, seguiranno - come una maledizione - quaranta giorni di cattivo tempo. Si mischia insomma il Santo con l'orso, che non c'entrano nulla l'uno con l'altro ed è uno di quei casi di contaminazione culturale ben rilevabili nei proverbi. Spiegare ad un valdostano che cosa sia questa manifestazione è come cercare di vendere ghiaccio agli eschimesi, per cui mi limiterò a qualche cenno. Una volta questa Fiera era poco cosa: mio papà mi raccontava degli anni Trenta del secolo scorso con alcuni artigiani che scendevano dalle vallate nel Borgo di Aosta e nella zona attorno alla chiesa dedicata a Sant'Orso e lungo via Sant'Anselmo sino alle Porta Prætoria esponevano in particolare oggetti ad uso agricolo. La sera con gli abitanti della zona si creavano momenti di convivialità e di ospitalità. Che poi questo avvenisse a fine gennaio non deve stupire: siamo - e lo si vede bene dal lento allungarsi delle giornate e dai lavori di manutenzione agricoli - in un periodo dell'anno che, nel ciclo delle stagioni, guarda già alla primavera, pur essendo ancora in inverno. Oggi, invece, la Fiera dedicata a Sant'Orso - una sorta di San Francesco montanaro, semplice e mite - è un unicum sulle Alpi, che ha trasformato un antico e limitato mercato di origine medioevale ("Fiera" non a caso viene dal tardo latino e vuol dire semplicemente "giorno di mercato") in una manifestazione gigantesca, che attira come mosche valdostani e turisti. Si comincia con il passeggio lungo le vie dove ci sono i banchetti degli espositori con una gerarchia che premia chi è più centrale e relega più distante gli atri. Il mangiare e il bere sono la seconda caratteristica, assieme ai gruppi musicali che fanno da colonna sonora. Il "pigia pigia" delle ore di punta è caratteristica del pienone di pubblico molto più dei numeri ufficiali. La Fiera è fatta proprio dalle persone e il campionario di umanità è piuttosto vasto e composito e questa folla che guarda e si guarda è un tratto caratteristico di grandi assembramenti umani. Capita anche a me di incontrare alla Fiera persone che non incontro mai durante il resto dell'anno. Certo ci si può lamentare di qualcosa. La stessa "Veillà" - la veglia nelle antiche e profonde cantine del centro - è sempre più mercificata e non tutti gli oggetti in mostra sono nel solco tradizione o della tipicità. La genuinità strapaesana ha poi allargato le maglie a una kermesse molto commerciale. Ma, alla fine, accantonati i mugugni, la Fiera è sempre la Fiera e ci si va con le proprie abitudini e con quell'acquisto "porte-bonheur" che rientra nei riti scaramantici per vivere un buon anno. Speriamo che basti...