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03 feb 2015

In politica non conta solo la quantità

di Luciano Caveri

Periodicamente emerge, pur diversamente espressa, l'idea che i partiti autonomisti siano dei sopravvissuti della Storia e siano chiusi nella loro tana senza guardare il mondo attorno a loro. Trovo l'accusa di un egotismo localistico profondamente sbagliata, specie se l'ottica si applica alla Valle d'Aosta. L'Union Valdôtaine (dove ho militato per tanti anni, compartecipando poi alla nascita di un Movimento politico diverso in area autonomista, l'Union Valdôtaine Progressiste) nasce nel 1945 in una logica aggregativa in un'epoca di passaggio per la Valle d'Aosta. Epoca tra l'altro, oggi come non mai, sotto una lente d'ingrandimento, visto che da quest'anno si entra nelle celebrazione del settantesimo anniversario del secondo dopoguerra e di quelle vicende interessanti che portarono allo schema dell'autonomia speciale come ancora, a larghi tratti, esistente quest'oggi. Poi, nell'epoca del trionfo dei due grandi partiti di massa, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, l'Union Valdôtaine - persi per strada coloro che aderirono a partiti nazionali - tenne salda la tradizione autonomista e federalista della Valle d'Aosta, pur alternando formule di alleanza con partiti nazionali e anche con alterni successi elettorali. Ai tempi in cui c'ero, l'ultima alleanza in ordine di tempo con un partito nazionale, Forza Italia, è stata una delle ragioni che mi portarono alla scelta di andarmene, pur considerando l'Union "casa mia" e penso con buoni motivi.

L'altra ragione - ancora più importante - è la leadership cesaristica che ha privato l'UV di quella logica pluralistica senza la quale un movimento politico di raccolta perde quel legame che è precondizione per funzionare, e di conseguenza sono emersi cambiamenti profondi nel suo "dna". Non basta l'etichetta per essere rassicurati sul contenuto. Lo stesso vale naturalmente certi partiti localistici che si dicono autonomisti, ma talvolta sono gruppi eterogenei e molto cangianti, che operano più come gruppi d'interesse che con autentico spessore politico e soprattutto culturale. Ma questo conta poco, quel che conta è riaffermare un principio: non è la grandezza di un partito che è garanzia di bontà, come se un prodotto di nicchia - qual è un partito autonomista - dovesse non esistere perché conta la quantità. Un esponente autonomista, nel momento in cui sente di incarnare un ruolo elettivo (e a me è capitato nella lunga esperienza parlamentare), non vive di complessi d'inferiorità. Se rappresenta una comunità è suo dovere interloquire e agire e sullo scenario romano e europeo e, pur cercando ovviamente - perché neanche un imbecille potrebbe pensare di farne a meno - alleanze e contatti, ha nella sua appartenenza politica una chiave di maggior libertà. E chi ne minimizza il ruolo sembra non cogliere il fatto che in tutta Europa esistono partiti territoriali, che poi possono fare riferimento alle grandi famiglie politiche europee, ma immaginare che la "taglia" sia la sola condizione per esistere, è una logica eugenetica politica che stupisce. Ricordo che l'eugenetica è quella disciplina che si occupa del possibile miglioramento della specie umana, eliminando dal patrimonio ereditario i caratteri sfavorevoli. Teoria che ha generato mostri ed è serenamente applicabile a chi ritiene i piccoli partiti una sorta di accidente. Per altro, impostazioni di questo genere sono sbagliati anche per buonsenso. Perché se questo fosse il ragionamento, nel solco della filosofia "piccolo è brutto", allora questa stessa logica potrebbe avere due applicazioni. La prima è quella che, se tanto mi dà tanto, allora vale per la Valle d'Aosta tutta intera e le dimensioni porterebbero l'acqua al mulino di chi vorrebbe la nostra autonomia speciale annegata in una macroregione per le più svariate economie di scala. Oppure varrebbe anche in ambito valdostano, dando ragione a chi accarezza la morte istituzionale dei Comuni "polvere" a beneficio sempre di questa logica economicistica e da liberismo esasperato, che ritiene che le logiche economiche abbiano la supremazia su tutto il resto. Nessuno, naturalmente, è così fesso da non avere l'esatta percezione del fatto che piccole comunità abbiano più difficoltà ad esprimere personalità in tutti i campi rispetto a comunità gigantesche. Ma proprio Emile Chanoux, come si legge dal suo testo per la "Dichiarazione di Chivasso", ricordava la bontà dei popoli alpini, piccoli ma preziosi. Dove il senso della comunità, come si ricorda nel federalismo personalista di cui era portavoce, dovrebbe riuscire a valorizzare la persona molto più di quanto avvenga in logica enormi, centralizzate e spersonalizzanti. Su questa linea di pensiero per fortuna c'è stata una continuità nel tempo e il federalismo resta una caratteristica distintiva, nel momento in cui i grandi partiti hanno smesso di parlarne, scegliendo altre strade. Il piccolo partito autonomista. che crede nella sussidiarietà, valorizza anche chi altrove potrebbe essere una pedina insignificante. Ma, naturalmente, la logica è: c'è spazio per tutti e per il rispetto reciproco.