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28 gen 2015

La coppia impossibile Renzi-Berlusconi

di Luciano Caveri

Scrivere di politica è sempre più un esercizio azzardato e chi lo fa si sente come gli equilibristi del circo, quando si esibiscono senza rete e rischiano l'osso del collo per una manovra azzardata. Esiste una carica tale di incertezza e una dose così forte di ambiguità che ci vorrebbe la "palla di vetro" per prevedere e bisognerebbe inseguire con un robusto randello chi gioca con la nostra pazienza. Respingo per principio certi discorsi del genere «sono tutti uguali», perché ingiusti e qualunquisti, ma va detto che ogni tanto la difesa è d'ufficio e tocca appellarsi alla clemenza della Corte. Specie se tutti si rifanno alla trasparenza e poi si muovono, invece, con logiche da nebbia in Val Padana. E', in questo senso, un giochino sempre possibile, attingendo ai protagonisti del "jet set" e del relativo gossip, ma fattibile anche con la sfera delle nostre amicizie e delle nostre conoscenze, quello delle "coppie impossibili". Si tratta cioè di chiedersi come certe coppie famose o famiglie possano stare assieme e quali siano i punti in comune a fronte di apparenze che lo escluderebbero.

Di queste ore, come caso di scuola, c'è la mirabolante coppia Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, un quarantenne e un ottantenne, Sinistra e Destra, legati da un insolito destino che non è solo il loro, ma anche il nostro. Avversari sulla carta, hanno stipulato un patto di ferro, che ha le radici forse in un vecchio incontro nel 2010 ad Arcore, quando Renzi era sindaco di Firenze e Berlusconi presidente del Consiglio ed i due simpatizzarono. Poi, al momento opportuno, quando c'era il calor bianco dello scontro politico, il feeling parve appannato e certe scortesie sembravano aver scavato un fossato. Renzi aveva picchiato durissimo contro il berlusconismo, suscitando la speranza di voler voltar pagina. Ma forse era più apparenza che sostanza e la simpatia è riemersa in superficie e si potrebbe ricordare il detto "chi si somiglia si piglia". Oggi vige fra i due un patto dimostratosi di ferro, quello "del Nazareno", nome della via dove c'è la sede del Partito Democratico a Roma, ma anche soprannome di Gesù, quasi profetico per due leader che si sentono uomini della Provvidenza. Di questo accordo ci sono diverse versioni, come i Vangeli e fra quelli apocrifi c'è chi disegna, oltreché questioni politiche, anche questioni giudiziarie e televisive. Una "realpolitik" che diventa "realitypolitik", perché ormai siamo ad una telenovela della politica al contrario, in cui i fatti contano più di quanto viene raccontato a beneficio delle proprie rispettive tifoserie. L'attrazione fatale conta molto e con essa contano i vantaggi per l'uno e per l'altro. E la realtà di facciata è quella commovente del «bene del Paese», formula di cui diffidare in qualunque sua versione, specie se diventa il passepartout per dubbie riforme costituzionali o elettorali. E soprattutto se utile per cementare logiche e comportamenti che portano ad embrassons-nous, che creano imbarazzo per questo asse fra il giovane politico rampante e il vecchio imprenditore-politico. Ognuno penso che in cuor suo sia convinto di sfruttare l'altro e di essere il più astuto della coppia. Ma alla fine non si sa ancora chi sarà il "rottamatore" e chi il "rottamato". Io trovo che, come in tutte le situazione ambigue di "inciuci" al vertice, ci rimettono la chiarezza e la Politica. Ci guadagnano l'ambiguità e sospetti d'affarismo, ammantati da ideali e buoni propositi. La Storia, che è spietata, ci racconterà la verità. Peccato che nel frattempo ci dobbiamo accontentare della cronaca, e non mi pare sia un granché.