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16 dic 2014

Tra Stevenson e Andersen

di Luciano Caveri

Sono passati molti anni da quando lessi "Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde", celebre romanzo di Robert Stevenson, in cui si racconta la storia di un medico che, facendo degli studi sulla psiche umana, capisce che ogni individuo ha dentro sé stesso una doppia natura, come se si trattasse di due personalità contrapposte, una buona e una cattiva. Tema vecchio come il mondo, che ha forgiato le religioni, ha occupato biblioteche di tomi filosofici e che constatiamo quotidianamente nella nostra vita. Attraverso apposite pozioni, il Dr. Jekyll, la parte buona, riesce a trasformarsi nel cattivissimo Mr. Hyde, un alter ego persino diverso fisicamente con un aspetto da malvagio lombrosiano. La storia finisce male, quando il medico si rende conto che il Male sta ormai avendo il sopravvento e dunque si suicida. Come spesso capita ai libri, di loro resta nel tempo magari solo un’espressione ed è il caso in esame. Modo di dire che usiamo, nel linguaggio corrente, quando una medesima persona si comporta, pur essendo sempre lo stesso, in modo diametralmente opposto. Ci pensavo leggendo, via "Twitter", alcune delle cronache del Consiglio Valle in occasione della "lunga" del Bilancio. La politica, ormai da anni, a Roma come ad Aosta - e ne sono stato testimone e protagonista - organizza queste lunghe sessioni, anche con la "notturna" dei lavori, quando si esamina la manovra finanziaria. E' una prassi piuttosto insensata questa logica da maratona, ma è una tradizione a cui sembra non si possa derogare, perché questa drammatizzazione è un'abitudine difficile da sradicare. Nella logica parlamentare esistono, infatti, riti antichi, che diventano consuetudini e che fanno ormai a cazzotti con la modernità. Il parlamentarismo, se non vuole essere spazzato via a furor di popolo, dovrà trovare modalità nuove e diverse, rispetto a certi retaggi ottocenteschi. Ma dicevo della doppia personalità. Sono ammirato da chi, come il presidente della Regione Augusto Rollandin, riesce in contemporanea ad avere comportamenti assolutamente conservatori nella realtà dei fatti o anche a dire cose e farne altre, ma poi negli interventi in aula è tutto una critica a cose da lui stesso forgiate, nel nome del dialogo e dei mutamenti di rotta. Operazione che evoca appunto quella dicotomia, spinta da Stevenson su terreni ben diversi, che può albergare nello stesso animo umano. O si tratta di uno smarrimento, che finisce in qualche maniera, per distorcere la vita vissuta attraverso un piano immaginifico di ciò che potrebbe essere, se solo le cose fossero diverse, oppure, al posto di essere questa astrazione, si tratta di una pura operazione di conservazione dello status quo. Il cambiamento è un pretesto, come evocare un sogno, che cancelli invece una realtà nuda e cruda, frutto di scelte politiche e personali, che parlano da sole attraverso le cose che si fanno ogni giorno. E torna comodo, in pensieri come questi, il motto gattopardesco: "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". Ma in realtà il racconto nel libro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e anche questa frase emblematica sono lo specchio di una società tradizionale nella Sicilia borbonica al suo tramonto. Se applicata oggi alla Valle d'Aosta, che sembra paralizzata, spaventata e al crepuscolo dell'attuale sistema autonomistico, questa frase beffarda va respinta, ma la situazione obbliga comunque a riflettere sul futuro (Union Valdôtaine Progressiste, non a caso, ha lanciato la Costituente Valdostana). In questa temperie, il tentativo di far passar per cambiamento quanto non lo è diventa un'operazione ardita, che alimenterebbe sfiducia e antipolitica. La crisi economica e l'inazione amministrativa e politica mostrano quanto «il Re è nudo», frase che deriva da una fiaba danese scritta da Hans Christian Andersen, che si intitola "I vestiti nuovi dell'Imperatore". Alcuni imbroglioni giunti in città spargono la voce di essere tessitori e di avere a disposizione un nuovo e formidabile tessuto, sottile, leggero e meraviglioso, con la peculiarità di risultare invisibile agli stolti e agli indegni. I cortigiani inviati dal re non riescono a vederlo, ma per non essere giudicati male, riferiscono all'imperatore lodando la magnificenza del tessuto. Col nuovo vestito, fatto con il tessuto inesistente, il Sovrano sfila nudo per le vie della città di fronte a una folla di cittadini che applaudono e lodano a gran voce la sua eleganza. L'incantesimo è spezzato da un bimbo che, sgranando gli occhi, grida: «ma non ha niente addosso!». Da questa frase deriverà appunto la famosa espressione «Il Re è nudo!». E lo è quando un mondo di fantasia e di speranze smette di corrispondere alla difficile è deprimente realtà del presente.