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11 nov 2014

Le castagne sul fuoco

di Luciano Caveri

C'è stato un tempo in cui, per vaste zone di fondovalle e di media montagna della Valle d'Aosta, la castagna era una delle basi dell'alimentazione. E quando dico "basi" non esagero: senza la castagna e i suoi diversi derivati, nella logica «non si butta via niente», non ci sarebbe stato da mangiare a sufficienza. Poi il declino, che ha portato ad un lento abbandono di buona parte dei territori vocati e della conseguente filiera di trasformazione. Oggi cresce la retorica sull'agricoltura a "chilometri zero", ma nel caso della castagna si parla in buona parte del tempo che fu. Per altro, nel menù quotidiano la castagna non è più protagonista, ma la sua è diventata una sporadica apparizione da agriturismo per qualche prelibatezza, chiaramente definita come d'antan.

Non so dire, però, quanto prodotto locale ci sia oggi nei piatti cucinati nei ristoranti e nei prodotti in vendita nei negozi. Penso non molto. So che esiste una cooperativa "Il Riccio", non a caso situata in un Comune, Lillianes, pieno di castagneti e dunque di certo verranno sfruttati opportunamente. Conosco poi chi usa castagne per prodotti trasformati, ma importando buona parte delle castagne da fuori Valle. Quelle che arrivano da più vicino arrivano dal cuneese, quelle più distanti dalla Turchia, che pare quest'anno abbia coperto ancor di più i "buchi" di produzione causati in Italia dall'estate bizzarra e dalle malattie dei castagni. L'argomento è interessante e svela il problema della tracciabilità reale dei prodotti. Argomento di portata persino comunitaria, che ha fatto scorrere chilometri di inchiostro. Per la Valle d'Aosta non è tema casuale. Penso a tutti i prodotti derivate da piante officinali e alla necessità, quando si pubblicizza l'uso di prodotti locali, la corrispondenza reale fra quanto viene pubblicizzato e quanto realmente si commercializza. A beneficio del consumatore, certo, ma anche dei produttori locali, che possono essere facilmente scavalcabili da chi, altrove, riesce a produrre a prezzi inferiori. Il tema della concorrenza è centrale per i prodotto della montagna. Lo è rispetto alla pianura, dove i costi di vario genere sono inferiori. Lo è anche rispetto a quei Paesi extraeuropei dove già solo il costo del lavoro crea una situazione di vantaggio evidente. Come se ne esce? Proprio con la chiarezza e la trasparenza delle indicazioni in etichetta. Questo deve consentire di capire da dove venga il prodotto e lo stesso vale per i necessari controlli da parte delle autorità preposte nella logica del "controllore - controllato", che serve appunto a tutela di tutti. Altrimenti certi discorsi su prodotti locali e sui "chilometri zero" rischiano non solo di prestarsi all'inganno, ma di diventare persino un boomerang per le produzioni locali. Viceversa, una perfetta corrispondenza garantisce il funzionamento del sistema e la sua bontà. E' vero che in molti casi, rispetto a certi prodotti locali, è difficile tornare indietro. Ma proprio il tempo di crisi obbliga, laddove possibile, a riflettere su coltivazione e prodotti che possono farsi largo nella moda ormai assestato dei prodotti vicini e genuini. Che cosa mettere nel piatto è ormai sempre più percepito come un problema di salute e benessere. E questo apre per le piccole colture di montagna degli spazi importanti, a condizione di saper scegliere bene e sostenere queste scelte.