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21 ott 2014

Dire - Fare - Baciare - Lettera - Testamento

di Luciano Caveri

Alzi la mano chi non ci ha mai giocato! Un classico passatempo da bambini, che si trascina per qualche anno, è quello del "dire - fare - baciare - lettera - testamento". Un modo di pagare la penitenza è per il "sotto a chi tocca" quello di subire, secondo il caso, una delle cinque opzioni possibili. Sono i compagni di gioco a decidere poi l'applicazione delle pene sul punto specifico. Se il gioco venisse applicato a Palazzo Chigi e al suo inquilino pro tempore, Matteo Renzi (Palazzo Vecchio, da sindaco di Firenze, era ancora più bello!), così si potrebbe immaginare lo svolgimento. "Dire": dire qualche cosa per il Capo del Governo e nel contempo segretario dei Democratici non è un problema. Per lui non vale di certo il verso del suo concittadino Dante Alighieri. «Perché mi guardi e non favelli?». Lui parla e twitta su argomenti i più vari, facendo della sua forza di comunicazione l'asse portante della sua leadership politica. La più terribile delle imposizioni dei suoi amici sarebbe quella del "silenzio". Che è per altro un altro gioco infantile: il gioco del silenzio. Ogni tanto ci starebbe, visto anche il rischio di sovraesposizione in televisione che piomba come una mannaia. "Fare": fare qualche cosa è un punto delicato. Il grande rimprovero degli osservatori della politica italiana e dei suoi oppositori, compresi quelli che sono nel suo stesso partito, è che fortissimo sul "dire" casca proprio sul "fare". L'"effetto annuncio" è multiforme e a getto continuo, mentre proprio l'aspetto fattuale scricchiola. Per cui la cartina di tornasole è rappresentata ormai da due punti che sembravano dati per certi: il primo è l'abolizione delle Province, che appare ormai evidente siano rinate dalle proprie ceneri, senza più meccanismi di elezione da parte dei cittadini; la seconda è la legge elettorale per l'elezione del Parlamento, chiamata "Italicum", che viene data per approvata ad ogni stormir di fronde, ma non si fa mai. So che suo fossato fra il "dire" e il "fare" si potrebbe scrivere un trattato. Ma lo smemorato non è lui. "Baciare": baciare qualcuno è la più maliziosa delle prove. Nei primi brividi verso l'altro sesso, questa storia del bacio era la grande attesa, nella speranza di finire bene e senza scherzi barbini, tipo un maschietto (all'epoca non c'era il "politicamente corretto") o l'amica brutta (idem come precedente parentesi). Dato per assodato che un bacio alla bella ministra Maria Elena Boschi sarebbe gradito ad ogni maschietto ed è un riconoscimento alla sua bellezza botticelliana, carognescamente si potrebbe dire che oggi il bacio più atteso e mai venuto riguardava gli alluvionati di Genova e del Polesine. Ma baci e fischi stridono. "Lettera": si scrive con il dito una lettera sulla schiena di chi paga il pegno, il quale deve decifrare il messaggio. Dopodiché la lettera viene affrancata con una bella pacca sulla spalla e spedita con un calcio nel sedere! A chi scrive il nostro Renzi? Beh, Angela Merkel mi pare scontato, ma potrebbe essere anche Barack Obama e per scritto l'inglese renziano potrebbe andare meglio dell'orale, per il quale i voti sono stati bassi e le risate tante. Per adesso - a meno che mi sia sfuggito qualcosa - non ha ancora scritto agli italiani, come fece ripetutamente Silvio Berlusconi, con cui il nostro fiorentino ha stipulato il "Patto del Nazareno" e si vocifera - ma lo dirà la Storia - di un "patto di sangue" scritto. Ma con l'inchiostro. "Testamento": è in genere - al di là del l'evocazione funebre - la penitenza più dolorosa, perché bisogna subire i dispetti dei compagni, in genere botte. Chi paga il pegno, infatti, volge la schiena ai compagni che nel frattempo decidono delle penitenze fisiche (calci, pugni, sberle, ma anche - più raramente - baci, carezze...). Uno di loro chiede: «Quanti ne vuoi di questi?» ed il "penitente" risponde un numero da uno a dieci, senza sapere di cosa si tratti. Che cosa fare a Renzi è difficile dire, ma che cosa chiedere con aria minacciosa lo so bene: «Sbaglio o l’impostazione della "Legge di stabilità" puzza lontano un miglio di voglia di elezioni anticipate?». Che poi - intendiamoci - meglio quelle che i pastrocchi.