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08 ott 2014

Bilancia e spada

di Luciano Caveri

La politica valdostana si trova, in queste settimane, come potrebbe avvenire per un gruppo di persone fuori da una sala operatoria, aspettando l'esito finale di un'operazione complicata su di un proprio congiunto o amico (o nemico), rispetto alla quale vedere esattamente cosa capiterà nel prosieguo della vita. Magari in pubblico non lo si fa trapelare, perché considerato non del tutto politicamente corretto, ma - a porte chiuse o a bar aperto - la situazione processuale del presidente della Regione Augusto Rollandin è in primissimo piano, perché la condanna (con sospensione dal ruolo di eletto) o l'assoluzione metterebbero comunque in movimento tante cose. Lo stesso vale per quel che avverrà nella questione, ancora a livello di richiesta di rinvio a giudizio e non di prima sentenza, nel dossier concernente i costi della politica e cioè delle spese di alcuni Gruppi del Consiglio Valle nella scorsa Legislatura.

Si fanno, al momento, molte supposizioni, ma anche in questo caso quel che contano sono le carte e non le parole. Naturalmente nell'anticamera della sala operatoria non c'è il silenzio, ma tanti chiacchiericci, che - se ben conosciuti - svelerebbero le trame possibili, a seconda dei diversi scenari che deriveranno dalla combinazione dell'effetto tenaglia di entrambe le vicende giudiziarie. Quel che colpisce di questa "terra di nessuno" è proprio l'attesa, carica di energia, come avviene prima che scoppi un temporale. A sentire le "voci", come in estasi religiosa o in una rude forma schizofrenica, ce n'è per tutti. Il mondo valdostano ama i "boatos", i "dietro le quinte", i pettegolezzi rosa e neri (neppure rossoneri...). Si narra di accordi già fatti, di carriere stroncate o nascenti, di talebani e possibilisti, di fedelissimi e di traditori pronti all'uso. Nulla, in verità, che finisca per far bene alla politica, che già gode di misera opinione presso gli elettori. Per altro, tocca dirlo, non è la classe politica, che sia buona o cattiva, uscendo dal cilindro del mago come il celebre coniglio, ma è frutto del voto e delle scelte che le persone fanno in occasione delle elezioni. Spesso, dunque, lamentazioni e mugugni dovrebbero essere rivolti alla propria immagine allo specchio. Chi è vecchio del mestiere della politica (che considero sempre una noble art), ma ne scopre sempre di nuove e questa evita di essere troppo abitudinari, conosce ormai la casa e i suoi abitanti. C'è chi vede il tappeto e chi, per sua fortuna o sfortuna, è in grado di osservare il disegno dell'ordito sino ai minimi particolari. Comprese le persone singole, associate, le grandi frasi ad effetto, l'appello al bene comune, la mozione degli affetti, quella alla crisi incombente che obbliga a senso di responsabilità. Tutto bello, tutto sacrosanto, almeno in bocca di qualcuno, mentre di altri gronda ipocrisia e malafede. Io penso solo che stare qui, attaccati alla bilancia nelle mani della dea Giustizia, rischia di essere un esercizio ormai obbligato, ma che deve fare riflettere. Anzitutto perché talvolta la Giustizia appare pure bendata, ma soprattutto perché nell'altra mano la Dea ha una spada. Se la bilancia è il simbolo dell'equità e dell'equilibrio che chi giudica deve avere, la spada è invece segno di forza e di potere, di cui sempre tenere conto. Questi due elementi, così evocativi del ruolo della Giustizia, possono andare bene anche per la politica, che deve dimostrare saggezza e capacità di discernimento, ma anche capacità, al momento opportuno, di usare la spada. La fretta è cattiva consigliera e mettere il turbo può portare ad andare a sbattere contro il muro. Ma, qualunque cosa capiti nelle vicende valdostane, non bisogna neppure pensare di cadere nelle sabbie mobili, che creano la scomoda situazione di essere inghiottiti lentamente.