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10 ott 2014

Precari o disoccupati

di Luciano Caveri

Matteo Renzi è un giovane leader politico, specie se rapportato alla gerontocrazia italiana. Con i suoi quarant'anni, che compirà l'11 gennaio prossimo, finisce per rappresentare una generazione, quella nata negli anni Settanta. Sposatosi nel 1999 (stesso anno della sua laurea in Giurisprudenza), ha avuto tre figli con la moglie Agnese Landini, di poco più giovane di lui. Questo per dire che questa sua posizione generazionale credo che sia la collocazione migliore per capire e riflettere sulla situazione lavorativa italiana e non mi riferisco ai meccanismi della legge delega nota come "Jobs act" (con un anglicismo improprio rispetto alla ben differente situazione americana). Quello è un capitolo talmente ampio, che certo qui non può essere liofilizzato. Penso alle questioni dell'articolo 18 e al tema del "Tfr", che sono diventati argomenti incandescenti e gli scontri fra opposte fazioni somigliano alla guerra di trincea, perché sembra quasi che trovare soluzioni di compromesso sarebbe una scelta sconcia con cui si rischia di perdere la faccia. E' quasi più facile trattare con i "nemici" politici che all'interno del proprio stesso partito e devo dire che l'ennesima scelta di porre la fiducia proprio sul "Jobs act" è un errore e mortifica il Parlamento. La fretta è - come si dice - cattiva consigliera. Ma torniamo a Renzi, che ha visto stabilizzarsi il lavoro - nel quadro delle aziende familiari, oggi assai discusse per un'inchiesta della Procura di Genova - solo nel 2004 con un contratto a tempo indeterminato, quando si avvicinava per lui il ruolo di presidente della Provincia di Firenze. Questione che ha originato qualche polemica sul fatto che la stabilizzazione - avvenuta dunque per l'attuale presidente del Consiglio alla vigilia dei trent'anni - avesse sortito il pagamento dei contributi per l'azienda che lo aveva assunto da parte dell'Amministrazione provinciale a copertura del suo mandato politico. Ma anche questo è secondario: quel che vale, infatti, è il fatto che Renzi, come la moglie insegnante precaria della scuola, appartiene a generazioni, che slittano ormai verso chi è nato negli anni Ottanta, per le quali la ricerca di un lavoro "fisso", cioè a tempo indeterminato, già era una chimera. In più ci si è aggiunta la crisi, che ha precarizzato un numero di giovani che erano riusciti a "piazzarsi" e che sono stati espulsi per primi dal mondo del lavoro. Questa sterminata categoria di più o meno giovani, che campa spesso grazie ad altri familiari che hanno accumulato quanto serve per essere loro di supporto, è ormai una vera e propria emergenza nazionale. Capisco ogni sforzo giuridico di semplificazione, di detassazione, di stimolo, ma la verità è che le imprese non si inventano dall'oggi al domani. Guardate al caso valdostano, come microcosmo con delle sue significatività. Il settore pubblico e quello parapubblico (la "Repubblica delle partecipate"…) sono ormai in regressione ed il "Patto di stabilità" indica la via di riduzioni drastiche. Il settore agricolo soffre e decresce, l'industria e l'artigianato idem, il terziario ha una gran varietà. Ma se la crisi del settore bancario e assicurativo è evidente, così come il mondo delle libere professioni e del commercio, la spina dorsale del turismo - vale a dire l'alberghiero - vede più strutture che chiudono di quelle che si aprono. Insomma: una sorta di cimitero con lapidi di vario genere di fronte allo scalpitare delle giovani generazioni e non è più questione o meno, come si diceva in passato, del limitato spirito imprenditoriale valdostano. Anche chi ha i denti non ha il pane. Non pare che ci sia per ora, né a Roma e neppure ad Aosta, una modalità per affrontare l'emergenza occupazione per tutti e in particolare per quella citata fascia di coetanei di Renzi su cui dovrebbe reggere in futuro la fiscalità che alimenta lo Stato sociale, compreso lo smantellando welfare valdostano. Viviamo strani tempi e farsi trascinare dalla corrente degli eventi non è una rotta rassicurante.