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09 ott 2014

Pont d'Aël: gioiello dell'architettura romana

di Luciano Caveri

L'autunno si presta a dei tour della Valle d'Aosta, profittando dell'atmosfera più ovattata e godendo degli straordinari paesaggi della Natura dai molti colori. Molti alberi escono, con il loro fogliame, dall'anonimato... Ecco, perciò, la breve cronaca di una mia escursione. L'ultima volta che c'ero stato si scriveva ancora, come la omonima frazione di Aymavilles, "Pondel". Ora il ponte-acquedotto di epoca romana (datato con certezza anno terzo a.C. per via di un'iscrizione) si chiama, con maggior esattezza, "Pont d'Aël". Da più di duemila anni sovrasta la Grand Eyvia, ad una cinquantina di metri dal pelo dell'acqua, dove il fiume si assottiglia in una sorta di canyon ed il salto da una sponda all'altra supera sempre i cinquanta metri. In realtà quella che appare come un'opera pubblica fu, invece, operazione di imprenditori privati romani, che supportavano, anche nella Gallia Cisalpina, l'espansione romana e si arricchivano con le nuove colonie, avendo una situazione dominante sul mercato. Avevano evidentemente delle entrature politiche a dimostrazione che, allora come oggi e in certe circostanze, non c'è nulla di nuovo sotto il sole. Nel caso in esame, il ponte era soprattutto acquedotto, che captava più a monte le acque dello stesso torrente che attraversa e le incanalava verso le cave di marmo bardiglio (grigio-azzurro) di Aymavilles, dove venivano usate per le lavorazioni necessarie. Marmo che veniva usato per impreziosire i monumenti pubblici di Augusta Prætoria, la piccola Roma che Augusto volle costruire come simbolo della sua dominazione sui Salassi, in una zona di controllo dei passi alpini. Questo segno di imperialismo romano intristisce pensando al tragico destino dei Salassi, ma mostra come i valdostani di oggi siano una miscellanea di stratificazioni storiche e sarebbe ridicolo minimizzare il ruolo dell'epoca romana, pur senza scordare le precedenti popolazioni. Oggi il monumento, messo a posto e reso visitabile (quando è aperto al pubblico...) grazie a fondi comunitari, svela bene i suoi arcani. L'acqua scorreva nella parte sommitale, mentre un camminamento interno consentiva un passaggio pedonale o al massimo con un mulo da soma. Interessante che parte dell'interno fosse cavo per rendere più leggera la struttura, così come il fatto che la facciata sud del ponte - quella verso Cogne - risulti più fragile, perché esposta al sole. Comunque sia, un gioiello prezioso fra i beni culturali della Valle, la cui rarità assicura un'attrattività da parte di quei turisti della cultura che sono ormai una sicurezza. Ci sono Paesi europei - penso alla Scandinavia - che fanno di pochi siti autentiche faville, mentre chi ha beni culturali a bizzeffe ha un atteggiamento che è ben definito nella tragedia degli scavi di Pompei. Per questo nella ristrettezza crescente del Bilancio regionale, che ha avuto tagli senza eguali nei trasferimenti statali, di cui bisogna denunciare origini e responsabilità, i soldi devono essere usati per la tutela e valorizzazione dei beni culturali, che sono una certezza, anche se fruttano poco clientelismo e pochi business da traffici e dunque certa sinecura si capisce. Per questo, al momento, ci sono capitoli di Bilancio regionale nel settore cultura interamente azzerati. Ennesimo caso che mostra perché non si può accettare la logica del gregge.