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06 ott 2014

Perché la politica non sia un castello di carte

di Luciano Caveri

La propria vita, anche in politica, è fatta come una costruzione assai complessa. Piano piano, nel corso degli anni, alle fondamenta, che derivano in parte dalle acquisizioni culturali e da quel penchant che ci portiamo appresso dall'impronta genetica, si somma l'edificazione di una casa, fatta di idee e convinzioni. Per fortuna questa struttura immaginaria non è mai immutabile. Assomiglia ad alcune chiese della nostra Valle d'Aosta, dove - con il passare dei secoli e l'avvicendarsi dei gusti architettonici - trasformazioni varie hanno cambiato l'edificio iniziale. Così, a mio avviso, deve essere la politica, che deve adeguarsi ai tempi e alle necessità. Naturalmente, come gli edifici in muratura, questo non significa mettere in discussione gli elementi portanti, che garantiscono la staticità. Anche idee e convinzioni hanno punti di riferimento, che devono evitare che con il passare del tempo non ci sia il rischio che il proprio mondo interiore e la sua applicazione fattuale crollino come un instabile castello di carte. Guardando alla recente vicenda della ferrovia valdostana (conclusa a lieto fine, come prevedibile), ma si potrebbe parlare dell'ordinamento finanziario o persino delle norme fondamentali dello Statuto d'autonomia, un pilastro che considero intoccabile è la considerazione che, ad ogni utile elemento culturale, storico, teorico e via con tutto quel che volete, i piedi devono essere solidamente piantati sugli aspetti giuridici. Fra le armi fondamentali, nella difesa dell'autonomia speciale, le norme di legge sono irrinunciabili, perché altrimenti i molti discorsi rischiano di essere vuoti ed infruttuosi. Mi piace, nell'oratoria da comizio, l'utilizzo di figure retoriche, l'impiego del riso e della commozione, ma se non si vuole vendere un prodotto inesistente, bisogna aver coscienza che autonomia significa "governarsi con le proprie leggi". E se la base su cui si costruisce un ordinamento, nel caso l'ordinamento valdostano, devono poggiare su ragioni identitarie, che hanno pure un elemento astratto come tutti i popoli hanno, fra il materiale e l'immateriale, poi - come architravi che evitino crolli - ci vuole un rapporto chiaro con lo Stato fondato su norme costituzionali, di norme che diano attuazione e su una logica di continua vigilanza e di utilizzo per continue migliorie della legislazione dello Stato e naturalmente della capacità normativa di un Consiglio Valle, cui spetterebbe il ruolo di legislativo, spesso surrogato dal Governo regionale. Capisco che in questi ragionamenti, ben presenti dei padri fondatori dell'autonomia valdostana e anche nei loro predecessori sin da epoca medioevale, c'è poco appeal. Piace di più la mozione degli affetti, l'invettiva urlata, lo zuccherino distribuito per palati facili e la retorica del "politico compagnon", cioè che lega il suo carisma a un populismo spiccio e di pronta beva. Così rischia di non piacere, perché barboso o persino supponente, chi cerca di far capire che fra dire e il fare c'è di mezzo un mare di problemi giuridici - vedi la questione dell'autodeterminazione, tanto per citare un termine che torna in prima pagina - che vanno risolti usando la testa e non solo la pancia e il cuore. Proprio sul tema dell'indipendenza, che come dicevo torna timidamente nel dibattito politico valdostano, si vada a vedere che lavoro di approfondimento, ponderoso e di cesello, hanno fatto gli scozzesi e stanno facendo i catalani. Senza scomodare gli intellettuali o la profondità culturale, perché capisco che puzza di muffa, non si può neanche pensare che sia credibile, all'opposto, la presunzione che la politica sia una specie di attività che si può prendere "alla carlona", facendosi forte di qualche slogan e di qualche frase fatta. La propaganda è utile, ma non può mascherare la realtà. E la realtà è molto difficile: a Roma non c'è mai stata comprensione per le autonomie speciali, vissute ormai come un cascame del passato (altro che rivoluzione federalista!) e Bruxelles prevede una capacità di negoziazione che fa tremare i polsi e non è roba da dilettanti. Continuerò a scriverne fino allo sfinimento. Con la delusione quotidiana di vedere quanti guardino alla politica - anche per buone ragioni che ormai recito come un rosario - con lo stesso coinvolgimento che si può avere per discipline scientifiche o umanistiche le più lontane dai nostri interessi correnti. Scelta rinunciataria, che consente ad altri di tagliarti l'erba sotto i piedi.