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16 set 2014

Quando sui Social si eccede

di Luciano Caveri

Guardavo l'altro giorno, nell'attesa in coda al traforo del Monte Bianco, le mucche trasportate su un camion. Erano bovini francesi importati in Italia per l'abbattimento. La sosta è stata lunga e le mucche non solo muggivano da dietro le sbarre, ma mi guardavano. So bene, come tanti animali domestici destinati al nostri consumo alimentare, che si tratta di creature che hanno intelligenza ed emozioni. Eppure - mea culpa - sono un carnivoro. Conosco persone vegetariane e vegane, ma mi sento - malgrado abbia letto per curiosità le teorie di chi, poco o tanto, aborrisce il consumo di proteine animali - un onnivoro e sarei ipocrita a non dire che, qualche minuto prima della precedente osservazione al tunnel, mi ero mangiato con viva soddisfazione e senza sensi di colpa una buona tartare di carne cruda. Analogamente non mi sono mai posto il problema dell'origine di capi in pelle, che fossero scarpe o giacconi, pur sapendo come si fanno e lo stesso vale per la miriade di prodotti in qualche maniera legati ad un'origine animale. Sarà, con un padre veterinario, che ho frequentato il mondo contadino, di cui è ben noto l'atteggiamento realistico verso il proprio mondo animale. Gli allevatori seri accudiscono i propri animali e lo possono fare anche con affetto, ma questo non significa affatto non rendersi conto del loro impiego utilitaristico, a beneficio della loro economia e nella logica, pur cinica ma esistente, della catena alimentare. Ecco perché non condivido certi eccessi legati alla celebre vicenda dell'orsa Daniza, di cui qui ho già parlato e che ricapitolo. Questa orsa è purtroppo morta nel corso del tentativo di sedarla per una cattura che la Provincia di Trento riteneva necessaria per la pericolosità dell'animale, manifestatasi in particolare, ma non solo, con l'aggressione ad un fungaiolo, che aveva avuto la sfortuna di incappare nell'animale con due piccoli. Montanaro - sia detto per inciso - che ha ricevuto, benché fosse in giro a piedi legittimamente nel suo habitat, minacce di morte da esseri umani e non da degli orsi. L'uccisione dell'orsa, benché colposa, ha portato al calor bianco le polemiche precedenti e il Web, prima degli editoriali dei giornali, è diventato il Far West dell'insulto verso la Provincia autonoma di Trento, che certo ha gestito tutta la questione senza grande efficacia comunicativa fino al vero e proprio tonfo nella tragedia della morte del plantigrado. Lo sdegno, la rabbia, l'odio, il disprezzo: questi sentimenti - a vario livello di virulenza - si sono di conseguenza scatenati, troppo spesso in verità con una carica di violenza incompatibile con l'afflato d'amore che veniva dimostrato verso la morte dell'orsa. Non solo, come pare ideologicamente logico, da parte di chi fa dell'animalismo il suo credo, ma anche di chi nella vita di tutti i giorni ha un uso senza problemi del mondo animale, mostrando in questo caso un atteggiamento non del tutto coerente. Ma soprattutto - e questo vale per molti - c'è chi scrive e riscrive sul tema non avendo mostrato in passato la stessa foga per vicende tragiche della nostra umanità. E di vicende "forti" ne abbiamo a bizzeffe: basta scorrere la cronaca nera dalla pagina locale al mondo. Non vuol dire non restare sgomenti della morte dell'orsa, dispiacersene e sperare che per i due cuccioli si faccia il possibile. Per altro nulla venne detto quando gli svizzeri spararono all'orso trentino noto come "M13" in Val Poschiavo nel febbraio del 2013. Comunque sia, bisogna prendere sul serio chi pone il problema di convivenza dei predatori con gli esseri umani e con le attività pastorali e non pensare che sia (leggete il "Calepin" qui a fianco) qualcuno da disprezzare. Chi conosce la Natura sa che la visione disneyana, zuccherosa e sentimentale, è un abbaglio: l'umanizzazione degli animali, attraverso processi antropomorfi, genera l'impressione di un mondo in cui tutti sia amano. Mentre invece nel mondo animale la violenza esiste e ci si mangia a vicenda senza tante storie. Anche noi facciamo parte di questo sistema, anche se nelle nostra capacità di astrazione e di fantasia tendiamo ad indorare la pillola. Per cui, forse, come si dice, "il troppo stroppia" ed il mito dell'orsa Daniza rischia di rappresentare un mondo diverso da quello della realtà e dimostra il limite intrinseco dei "social" e di chi invoca una "democrazia 2.0" in cui gli umori popolari si riversino d'emblée sulle istituzioni. L'emotività e gli eccessi sono quelli che sono serviti in passato a mettere in moto patiboli e ghigliottine. Per cui ci vuole cautela e buonsenso e capire che i "social" sono una meravigliosa possibilità per sfogare i propri pensieri, ma il dialogo e il confronto non sono da racchiudere nelle poche righe dei commenti, così come sono consentiti da queste innovative e stimolanti agorà elettroniche.