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22 ago 2014

Augusto, il camaleonte

di Luciano Caveri

Ho sempre trovato risibile una certa pubblicistica che ha giocato in Valle sul proprio senso identitario, ponendo come punto di riferimento della valdostanità - in modo esclusivo e più rievocatore che sostanziale - gli antichi Salassi rispetto ai Romani invasori. La questione è certo più complessa, anche se il genocidio del popolo salasso resta nella storia come elemento di crudeltà, perché il problema di un popolo non sta nella purezza della razza (il termine "razza" è stato ormai all'indice dai genetisti che hanno confermato che siamo tutti uguali), ma nella capacità - nel flusso continuo nel tempo - di una cultura di prendere e lasciare elementi che ne formino infine i tratti di originalità. E i Romani hanno aggiunto molti elementi eminenti, fondendosi con quanto di preesistente e sappiamo come le occupazioni militari, se elemento stanziale e definitivo, finiscano poi per mutare in qualcosa di nuovo nel rapporto con il territorio. Questo non vuol dire essere privi di memoria e accertare, attraverso l’archeologia, quanto di ricco ci fosse già prima e sia rimasto scolpito non solo nel "dna" delle persone, ma appunto nella civilisation valdotaîne dalla notte dei tempi fino alle immigrazioni contemporanee. Trovo interessanti le operazioni di "Restitution", se ci si mettono i soldi, come quella dell'incredibile e unico acquedotto di Pont d'Aël ad Aymavilles, che ha visto quest'estate folle di visitatori alla ricerca, in fondo, di una parte delle proprie radici. Spiace poi che una simile attrattiva, proprio per la sua unicità e fascino misterioso, finisca per essere chiusa al pubblico per ottuse logiche di bilancio. Mi riferisco a quei tagli orizzontali, che Aosta contesta a Roma, ma poi applica nello stesso modo e che deprimono il merito e fanno di tutta un'erba un fascio. Interessante, per altro, ma è argomento diverso come questo rapporto "Valle d'Aosta - Roma" persista ora come allora, anche se i romani di oggi nulla hanno a che fare con quelli di due millenni fa... Come non pensarci oggi all'apporto romano alla formazione identitaria, nella data odierna del bimillenario dalla morte di Cesare Ottaviano Augusto, imponente figura storica, piena di contraddizioni e di debolezze, politico e guerriero, che ha pesato con le sue decisioni sulla storia locale, inserita nella sua epoca nella grande strategia di occupazione dell'Impero romano. Augusto è stato un gigante della Storia, che ha avuto la capacità di manipolare il futuro. Ha scritto, per la "Zanichelli", il professor Andrea Ercolani. "Il tutto si complica quando si ha a che fare con una Intentionalgeschichte, una "storia intenzionale", ovvero un'operazione storiografica concepita non per ricostruire i fatti in maniera (almeno in pectore) obiettiva, ma per presentarli e rappresentarli con precise intenzioni (esaltare, giustificare, denigrare, eccetera). Augusto è un caso interessante da questo punto di vista, giacché offre la possibilità di cogliere il contrasto tra la ricostruzione storica in senso proprio, cioè quella fatta da un osservatore esterno, lo storico (si pensi per esempio a Svetonio, con la sua "Vita di Augusto", o a Cassio Dione, nel libro LIII della sua "Storia romana" - ma va ricordato che la storiografia antica attinge spesso dalle "autorappresentazioni" dei protagonisti) e la proiezione che di sé ha dato nelle res gestae. La divergenza tra proiezione di sé e valutazione esterna, nel caso augusteo, arriva a rasentare il paradosso: se le res gestae consegnano alla storia la figura di un Augusto lineare e coerente, l'imperatore Giuliano l'apostata, in un'operetta satirica intitolata "Il simposio ovvero i Saturnali", al paragrafo 309A-B, stigmatizza di Augusto proprio l'opportunismo e l'incoerenza (in linea, probabilmente, con parte della storiografia antica): "...ecco che si fa avanti Ottaviano, cambiando continuamente colore come i camaleonti: ora è pallido, ora è rosso, e poi nero tenebroso e fosco; eccolo ora votarsi ad Afrodite ed alle Grazie, ora voler somigliare al grande Helios con i suoi sguardi penetranti". Fantastica e molto moderna questa immagine del politico come un camaleonte, che cambia pelle per sopravvivere al sopraggiungere e alla mutevolezza degli scenari in cui si trova ad operare. Ricordo sulle nostre vicende di allora, anche se spesso dissentivo dalla sua visione, il deputato comunista francese, fiero di essere valdostano, Parfait Jans, che da politico era diventato fecondo romanziere e che scriveva con indignazione: "En l'an 25 Av.J.C. sur ordre d'Auguste, le général Térencius Varro Muréna lance la guerre d'extermination contre le peuple salasse. Feu et sang! En quatre jours (ce sont les scribes et historiens de l'époque qui l'écrivent) on comptent trente six mille morts ou vendus sur le marché d'esclaves d'Eporedia et huit mille jeunes salasses enrôlés de force dans les légions romaines. Tel est le sort subi par nos ancêtres, tel est le bilan de l'occupation romaine. Tel a été l'odieux comportement des Romains dans notre région. Il faut dire qu'ils avaient déjà vaincu tous les peuples des autres vallées alpines. Les Salasses étaient les derniers à résister ce qui devait accroître encore la colère des occupants". E' bene ricordarlo, come elemento postumo per evitare che la Storia diventi oggetto solo di quanto scritto dai vincitori, sconfitti a loro volta dai "barbari" che si impadroniscono a diverse ondate della Valle d'Aosta. Vale per un popolo quanto Henri Bergson applicava alle persone: "Que sommes-nous, en effet, qu'est ce que notre caractère, sinon la condensation de l'histoire que nous avons vécue depuis notre naissance".