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22 lug 2014

Violenza

di Luciano Caveri

Guardavo il mare, l'altro giorno, da un traghetto diretto dalla Sicilia a Malta. A bordo, a scrutare l'orizzonte così come me, durante la bella traversata di quel pezzo di Mediterraneo, c'era - comodamente seduta sulle poltrone del grande catamarano - un'umanità cosmopolita di vacanzieri. Non credo, però, che pensassimo la stessa cosa. Io ragionavo sulla violenza che si concentra, assieme a tanti altri sentimenti negativi, in questa vasta area del bacino del Mediterraneo, dove barconi di diversa fattezza trasportano migranti provenienti del Sud del mondo - con diversi gradi di disperazione - verso un approdo europeo. Sono viaggi della speranza, intrisi di angoscia e paura, saldamente in mano a ben prospere Mafie internazionali, che lucrano anche su questa nuova forma di tratta umana. E l'Italia è ancora troppo sola di fronte a questa "invasione" dolente, che viene regolata con una "politica del rubinetto" da chi ci guadagna nel trasporto via terra (specie nel deserto del Sahara) e via mare, come appunto facevano gli antichi negrieri. L'Europa di fatto ci ha scaricato, in larga misura e ancora nel recente summit fallito sulle nomine a molti ruoli apicali, la patata bollente. Poi nelle stesse ore la violenza incombe sotto altre forme che paiono irreali. Riprende - sempre non molto distante - l'irrisolta vicenda fra israeliani e palestinesi con una guerra che è ripartita in pieno e non si vede mai una svolta vera, malgrado ripetuti annunci di una comunità mondiale incapace e di un diritto internazionale debole. Certo non giova al dialogo - e su questo è bene non essere ambigui - il ruolo assunto dagli estremisti islamici. E questo non significa affatto - lo preciso, pur avendo sempre avuto una naturale simpatia per le travagliate vicende degli ebrei - non riconoscere come Israele abbia sbagliato nel tempo dei passaggi decisivi. Ma non è questo il punto: quel che colpisce, anche in questo altro scenario, è la forza della violenza, scelta come strada risolutiva e di quanto questa scelta sia illogica e improduttiva dovremmo essere tutti coscienti. Poi ognuno si tenga le proprie convinzioni sulle responsabilità di chi sia aggressore e aggredito. A questo senso di impotenza in un mondo che non riesce a sanare le ferite più purulente, torna la tragedia, nel cuore dell'Europa, dell'Ucraina. Anche qui l'umanità si piega alla violenza come metodo. La storia del "Boeing" malese abbattuto da un missile addolora perché mostra, come ben si sa, che la violenza non ha confini esatti e un perimetro rassicurante. La maggior parte dei morti sono olandesi, che non c'entravano un tubo, ma questo è il volto feroce di certa globalizzazione. Ha scritto Martin Luther King, che venne ucciso nel 1968 per la sua lotta per i diritti civili: «La più grande debolezza della violenza è l'essere una spirale discendente che dà vita proprio alle cose che cerca di distruggere. Invece di diminuire il male, lo moltiplica». Questa è la violenza che deborda, ridonda, dilaga e nessuno può pensare di non incontrarla. E' un gorgo che vediamo attorno a noi: nelle grandi vicende che segnano la Storia e anche nella quotidianità di una cronaca nera, che campa su delitti di vario genere con una violenza grande e piccola, persino inventiva nella logiche multiforme che il male sa assumere e che alimenta le nostre peggiori paure. Lo scrivo nelle ultime ore della mia vacanza, in un esempio di quel mondo irreale e fasullo che sono i "club vacanze". Comunità momentanee, che si costruiscono attorno al divertimento e allo svago. Eppure anche qui esiste un pizzico di verità: non dico che il mondo potrebbe o dovrebbe essere questo, cioè una specie di "Club Med" globale, ci mancherebbe! Ma è, nell'esempio banale, il contrasto stridente di gioia e dolore - che convivono sulle stesse spiagge della Sicilia - che ci deve costringere a guardare più in alto. Perché di queste violenze, purtroppo vere, sanguinose e mortali bisognerebbe davvero fare a meno. Iniziare a ridurre il tasso di violenza, ora e dappertutto, dovrebbe essere un obbligo, almeno nella volontà dei popoli. E invece ogni giorno si evidenzia il contrario e noi, come fantocci esanimi e sfiduciati, aspettiamo il prossimo orrore, avendoci quasi fatto il callo.