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21 lug 2014

La Juve e il Calcio

di Luciano Caveri

Sono uno juventino non praticante. Lo sono perché lo era mio papà e si sa che esiste quasi sempre nella fede calcistica un elemento ereditario. Così sulla Juventus mi ero fatto da bambino e almeno fino all'adolescenza una discreta cultura. Posso sciorinare ancora qualche formazione a memoria e sapevo vizi e virtù dei calciatori, che erano al tempo persone idolatrate ma abbastanza normali. Non era ancora obbligatorio che fossero nelle prime pagine dei giornali rosa e si riproducessero con veline o simili. In più la presenza simpatica di uno zio granata sfegatato, zio Ulrico, mi aveva sempre consentito di avere la voce della controparte contro i "gobbi maledetti" e "corruttori di arbitri", per cui il mio tifo non è mai trasceso in un integralismo bianconero. Passando attraverso le figurine "Panini" - che erano una disciplina seria e consentivano di apprendere l'arte del commercio - e seguendo la squadra, mi ero fatto una discreta cultura calcistica. Oggi capisco che le mie conoscenze sono vintage e démodé. Sono successe due cose che hanno radicalmente mutato il mio rapporto con lo sport nazionale per eccellenza. La prima è che scandali e scandaletti mi hanno depresso: non solo per ruberie vere e proprie a dispetto dei tifosi, ma anche la considerazione che - anche grazie all'angelica figura dei procuratori - i calciatori sono diventati una casta di intoccabili che guadagnano cifre inaudite. Ma sono circondato da esperti di calcio che mi spiegano che, visto il giro d'affari del pallone, è giusto così. Contenti loro e contenti anche quelli che vanno a vedere partite con spiegamento di truppe degne di una vera battaglia, altro che divertimento... La seconda ragione, ormai da adulto, è stata la conoscenza della triade Giraudo - Moggi -Bettega nella mia veste di assessore regionale al turismo in occasione del ritiro in Valle: l'impressione fu pessima. Mi ero figurato ingenuamente uno stile juventino compassato - genere Vecchia Torino fra "Circolo del Twist" e maglioni di cachemire indossati fino a diventare lisi - e invece il clima mi era parso diverso. Per un po' di tempo mi sono sentito sentito calcisticamente agnostico, ma poi ho ricominciato a sbirciare i risultati della "mia" Juve, direi più in ossequio ad una tradizione familiare che per il ritorno di un interesse bruciante. Ecco perché l'uscita di scena di Antonio Conte mi lascia del tutto indifferente. Ho visto sui "social", accanto a fantastiche caricature del divorzio calcistico (compreso il grande dilemma se l'allenatore già giocatori porti un parrucchino o abbia subito un trapianto), degli epitaffi commossi sull'abbandono di Conte degni di personalità ben più illustri per la Patria (e dello stesso calcio). Mi inchino ai suoi risultati calcistici, ma per favore non mi si dica che era interprete dello "stile Juventus". Neppure sottotitolato si capiva con esattezza cosa volesse dire quando si esprimeva nelle conferenze stampa. L'addio alla Juve è avvenuto senza garbo, dopo aver detto, poche settimane fa, quanto il suo amore per la Vecchia Signora fosse eterno. Ora arriverà Massimiliano Allegri e vedremo se - scusate il calembour da quattro soldi - ci sarà o no da stare... allegri. Sarebbe ora che il calcio tornasse uno sport come gli altri: che i tifosi violenti la pagassero una volta per tutte, che le squadre pagassero le Forze dell'ordine impegnate negli stadi, che si vietassero gli eccessi di scommesse che creano troppe tentazioni, che i calciatori (e gli allenatori) subissero qualche effetto dalla "spending review", che si tornasse ad avere un numero di calciatori italiani che possano creare una rosa seria per la Nazionale. Il solito illuso, oltretutto su di un terreno minato...