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17 giu 2014

Senza vincolo di mandato

di Luciano Caveri

Il "caso Mineo", con il Partito Democratico che ha sostituito in Commissione il senatore Corradino Mineo, celebre giornalista, perché dissenziente sulla riforma renziana del Senato, ha aperto una discussione antica sul ruolo del parlamentare. Era già avvenuto, ancora di recente, con il gruppo del "Movimento 5 stelle" al Senato. Il punto di partenza è il vigente articolo 67 della Costituzione della Repubblica italiana, che così recita: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato". A molti che in queste ore hanno discettato, a favore degli uni e degli altri, va ricordato come - in caso di dubbi - sia sempre bene rifarsi alle fonti. Nella discussione alla Costituente, si parte Il 19 settembre 1946 nella la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, quando si approva il seguente testo: "I deputati sono rappresentanti della Nazione. I deputati esercitano liberamente la loro funzione e senza vincoli di mandato; nessun mandato imperativo può loro darsi dagli elettori". Il 23 ottobre 1946 la stessa Sottocommissione delibera di estendere ai senatori quanto già stabilito per i deputati. Il 10 ottobre 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea costituente approva il seguente articolo nella sua forma definitiva, confermata poi due mesi dopo: "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato". Consiglio a chi volesse avere contezza della discussione fra personalità costituenti del calibro di Umberto Terracini, Costantino Mortati, Emilio Lussu ed altri di andare a cercare l'illuminante discussione sul bel sito nascitacostituzione. E' chiaro come, una feroce dittatura, il Costituente volesse mettere al riparo il parlamentare da logiche di violazione delle sue convinzioni a vantaggio di ferree discipline di partito. Quel nucleo di libertà sembra rimasto intatto, anche se i meccanismi elettorali in vigore (e che temo verranno con l'Italicum) tendono, con le liste bloccate, a far scegliere gli eletti dai partiti e non dal voto dei cittadini. Ma è altra questione, pur connessa e varrebbe anche la pena di riflettere sulla particolarità di longue durée della circoscrizione uninominale della Valle d'Aosta. Certo ci si può azzuffare sulle letture più diverse della norma costituzionale, che resterà comunque esemplare nella sua chiarezza. Oltretutto, come si legge nel primo testo, la soluzione, poi tolta ma rimasta tale nella sostanza, citava in negativo proprio quel "mandato imperativo", che ai padroni di turno dei partiti piacerebbe di più. Dunque, per capirci, il "caso Mineo" è e resta un caso politico, anche se la questione giuridica è chiara, che tocca almeno due temi. Il primo riguarda come andrebbe normato il rapporto maggioranza e minoranza nei partiti, perché troppo spesso aleggia lo spettro del "centralismo democratico". Ricordo che l'espressione si riferisce al sistema di gestione di un partito, quando affida al leader o ad una ristretta nomenclatura la programmazione di tutte le attività politiche economiche e sociali, cui gli appartenenti a quel partito debbono attenersi o obbedire ciecamente. Ma torniamo al merito con il secondo punto, che concerne, invece, la materia dei contendere e che non riguarda legislazione ordinaria o voti di fiducia. Riguarda, invece, norme di rango costituzionale, che toccano i centri nevralgici delle istituzioni repubblicane e invocare su argomenti così topici, come la riforma del Senato ma aggiungerei anche sul regionalismo, la disciplina di partito pare inopportuno. La logica «o con me o contro di me» è una rozza semplificazione e forse Renzi avrebbe dovuto affidare questa questione sulle Riforme - lo dico con simpatia verso la Ministra Maria Elena Boschi - a persona più matura e competente. Altrimenti le critiche e le strumentalizzazioni sono e diventeranno facili.