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29 mag 2014

Emile Chanoux

di Luciano Caveri

Non farò quest'oggi un ricordino di maniera e di circostanza di Emile Chanoux, come se questo dovesse avvenire per un obbligo da calendario e dunque per il solo dovere del ricordo, in occasione dell'anniversario della sua morte, avvenuta il 18 maggio del 1944. Notizia tremenda per la Valle d'Aosta di allora, vessata e in ginocchio, con gran parte del popolo valdostano costernato da un lutto così terribile e i partigiani sulle montagne colpiti dalla ferocia di quei fatti, proprio nei mesi decisivi della Resistenza, con i nazifascisti che davano loro la caccia. Devo a mio papà un suo ricordo intimo e familiare, diverso da quello straordinario monumento che Chanoux, per il suo assassinio (poco conta se sia stato o no un suicidio), è diventato nel tempo. Si trattava, in sostanza, di un amico di famiglia, specie dei fratelli più vecchi di mio padre, come zio Emilio, con cui si scrivevano delle lettere da militare e soprattutto con Séverin, che fu suo testimone di nozze e che credo debba essere considerato un suo erede politico, avendone salvaguardato la figura negli anni in cui era necessario farlo, prima che ci fosse un generale riconoscimento del suo ruolo capitale. Chanoux mi è stato descritto come un uomo semplice, intelligente e razionale, che aborriva da buon montanaro e da homme cultivé quella retorica fascista che, non solo con i suoi orpelli, ma anche con il volto feroce del Regime, aveva deciso di strangolare la libertà e l'identità del popolo valdostano. E lui, capendo da subito il concentrato di violenza del fascismo, non solo si era ribellato e aveva avuto un ruolo eminente nell'antifascismo, ma aveva posto sotto la sua ala e il suo magistero tanti giovani, guardando al di là del periodo triste e scuro che vivevano allora. Ciò dimostra come esistano delle persone che sanno lanciare messaggi, oltre la propria vita e lo facciano con una visione profetica, che consente al suo pensiero - mutatis mutandis - non solo di essere prezioso nella contestualizzazione dei suoi anni, ma anche e appunto per la freschezza che ancora mantiene su punti nevralgici nella modernità. Personalmente l'ho ricordato in occasioni ufficiali alla Camera dei deputati ed al Parlamento europeo e in tante altre circostanze, trattandosi di un patrimonio non solo dei valdostani, ma del pensiero politico. Questo settantesimo anniversario della sua morte deve essere semplice, come un albero in fiore, senza fanfare e senza un eccesso di discorsi di circostanza. Ognuno rischia di piegare il pensiero di Chanoux ai propri desideri e chi non ne coltiva né idee e né valori dovrebbe avere il buongusto di non usare il martire valdostano come se fosse un fantoccio da tirare nel proprio campo. Ci vuole pìetas e misura anche nel leggere discorsi preconfezionati. Chanoux non è adoperabile da tutti senza "se" e senza "ma", pena uno stravolgimento della sua stessa personalità. Nessuno pretende primogeniture di un personaggio storico, ma chi professa idee e comportamenti stridenti dovrebbe quantomeno astenersi. La sua coerenza e la sua onestà sono, infatti, un esempio adamantino anche e soprattutto in questa epoca di crisi della politica. Ho già scritto in passato come, in un dialogo immaginario, credo che lo stesso Chanoux ci direbbe che avrebbe preferito evitare di diventare un simbolo, a causa della sua morte e risurrezione morale come esempio per la "causa valdostana", per vivere con la sua famiglia e contribuire con la sua forza alle vicende appassionanti del dopoguerra. Invece morì da solo in una cella, senza aver svelato i segreti che i suoi torturatori volevano estorcergli. Sempre mio padre mi raccontò di come cercò di vedere la sua salma in cimitero, ma il vecchio Camandona, in piemontese, gli disse di andarsene, che rischiava la pelle anche solo a trovarsi lì. Immagino il suo batticuore. Chi pensava di fare tacere Chanoux per sempre è stato inghiottito dal tempo, compresi i suoi carnefici e quel fascismo che purtroppo aveva fatto proseliti anche in Valle d'Aosta. Chanoux resta con la sua personalità e i suoi insegnamenti, specie quel federalismo che attraversa il tempo, come soluzione alle tante crisi, anzitutto istituzionali, che ci attanagliano e talvolta paralizzano. Ed in Valle d'Aosta la personalizzazione del potere e certe reti di commistione della politica sono l'esatto contrario del pensiero chanousiano con buona pace di chi si farà spuntare in queste ore anche la lacrimuccia in memoria. Non è un'immagine eroica ma distante quella che dobbiamo avere di lui, come se fosse un santino destinato nel tempo a perdere il colore o una persona cui sono dedicate piazze o vie, ma è nella realtà vittima di un oblio. Dobbiamo avere in lui, invece e sempre, un'acqua di fonte cui abbeverarci, sapendo che spetta ad ogni generazione fare la sua parte, senza aspettarci che altri dal passato ci risolvano il presente. Ma i riferimenti e gli esempi sono quelli che danno radici anche alle piante della politica contro gli incapaci, i disonesti e i profittatori, che avvolgono come piante parassite anche la nostra Valle d'Aosta. E che nessuno, soprattutto, pronunci il nome di Chanoux invano.