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08 dic 2013

Il cortocircuito

di Luciano Caveri

E' la prima volta, dopo 25 anni, che non mi trovo a che fare - pur nei diversi ruoli che ho ricoperto e dunque con differenti livelli di responsabilità e complessità - con una manovra finanziaria di cui occuparmi. Ne ho seguite a Roma, a Bruxelles e naturalmente ad Aosta e, pur se ci sono sempre state delle diversità tecniche e politiche, alla fine ci sono anche molte somiglianze. Anche chi, come me, per vocazione culturale non è mai impazzito per cifre e tabelle, ha finito poi per appassionarsi. Ricordo come, con le prime vecchie Finanziarie statali, la lettura e la comprensione fossero una mostruosità, poi - entrato nei meccanismi - ero diventato svelto nel trovare i punti d'interesse e sapevo cosa fare. Avevo capito che il segreto era esserci: mai a Roma, in sessione finanziaria, mi sono allontanato dalla Commissione Bilancio, pur non essendone membro. Sia che la logica fosse difensiva, per evitare qualche sgambetto, sia che l'impegno fosse quello di aggiungere qualche norma utile. E' in alcune logoranti sedute notturne a Montecitorio che ho cominciato a bere il caffè che non avevo mai bevuto prima! A Bruxelles era tutto più felpato, mentre da Presidente, ad Aosta, avevo capito come montare e rimontare la Finanziaria regionale: esercizio istruttivo, specie se davvero basato sul confronto con Assessori e dirigenti. Direi, però, che sin dall'inizio della mia esperienza e cioè la Finanziaria dello Stato del 1988, quando in apparenza le vacche erano "grasse", si era già in una fase in cui non mancava di certo la consapevolezza che l'espansione della spesa pubblica avrebbe creato dei mostri e che il peso crescente della fiscalità avrebbe ucciso contribuenti e economia. Ma chi è al potere - e io ho combattuto l'andazzo quando ho avuto responsabilità - troppo spesso associava "finanza allegra" con consensi elettorali. E c'è sempre stato chi - e sono i peggiori - alla "manica larga" (Cicero pro domo sua, in vista del voto) aggiungeva una fame di denaro per una potenziale vocazione corruttiva. "Tangentopoli" aveva scoperchiato la pentola per un momento, poi il coperchio è stato rimesso e certi maneggioni - sentendosi impuniti - sono tornati nel giro, contando sulla smemoratezza degli elettori e su tempi biblici della Giustizia, talvolta bendata come la dea Fortuna. Con onestà bisogna dire che, nel tempo trascorso, chiudere bilanci pubblici non è stato facile e anzi, mano a mano, il ridursi delle entrate ha obbligato - per non dire della crisi che dura ormai da cinque anni - a metter mano alle forbici. Ma, come in tutto, c'è modo e modo. La crisi presuppone non un consociativismo illogico, ma un gioco d'equilibri fra maggioranza e opposizione che consenta di trovare alcuni grandi temi da condividere. Ma questo dev'essere fattibile e in questo momento - nel caso valdostano - non è possibile, perché la solitudine di chi decide in proprio impedisce ogni forma di corresponsabilità già nella maggioranza di governo, figurarsi con l'opposizione. Ma si tratta di una miopia, fondata oltretutto su di un'ambiguità di partenza, che finisce anche per essere il punto di arrivo: far credere che si è aperti alla discussione e non farlo realmente finisce per creare un clima di sfiducia e di "muro contro muro". E' una forma di antipolitica da parte della politica stessa. Insomma: un cortocircuito.