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03 dic 2013

Giocatori vicini e locali

di Luciano Caveri

«Amici vicini e lontani», così esordiva, nei primi passi della televisione, il celebre presentatore Nunzio Filogamo. A questa filosofia, che mette tenerezza, sembra adeguarsi il marketing del "Casinò di Saint-Vincent". che nell’improbabile impresa di non finire allo sfascio - per il profondo rosso dei suoi bilanci - ormai usa una ammirevole tecnica che, alla romanesca, potrebbe essere definita «'ndo cojo cojo» («dove prendo prendo»). Della Cina sappiamo per gli accordi e i viaggi studio effettuati, specie a Macao, il tempio del gioco asiatico, immagino alla ricerca di "porteur" (quelli che, guadagnandoci, portano giocatori), che dovrebbero garantire una linea diretta "Cina - Valle d'Aosta". Dopo aver pescato a piene mani nella clientela dei cinesi residenti in Italia, sarebbe giunta l'ora - in questa logica - di non accontentarsi delle comunità immigrate, ma di far venire i cinesi dal loro Paese d'origine, sfruttando le nuove e assai costose strutture alberghiere e per il gioco, che dovrebbero essere adatte a un flusso di milionari pronti a giocarsi anche la camicia. Temo che siano un po' rozzi rispetto all'attesa e chissà se è fondata la speranza che, con il loro arrivo, i bilanci dovrebbero invertirsi e dal "rosso" si passerebbe in fretta al "verde", in concomitanza con la prima fase della cura dimagrante del personale, ormai in corso. Non condivido l'ottimismo e non mi convince la bontà delle cifre, che mi sembrano buttate lì a casaccio per avere un orizzonte di vita. Ma se questi sono gli "amici lontani", ci sono poi gli "amici vicini" e cioè i valdostani. Storicamente - anche i bambini lo sanno - la scelta della nostra Regione, all’epoca ancora "circoscrizione autonoma" ai sensi dei decreti luogotenenziali del dopoguerra, fu quella di non far giocare i residenti in Valle. Non era solo una pruderie moralistica, ma anche l'elementare considerazione, secondo la quale sarebbe stato assurdo che i preziosi proventi per la nascente e povera nostra autonomia derivassero da una sorta di tassazione per il vizio del gioco dei valdostani. Perché questa "linea Maginot" a un certo punto, nel 2009, è crollata? Semplice: l'enorme sviluppo del gioco, specie con le "macchinette mangiasoldi" nei bar, ha fatto scegliere per un'apertura, almeno di questa parte dei giochi della Casa da gioco ai residenti. Solo questo? No, chi ha scelto di riaprire non lo ha fatto solo per questo, ma anche per trovare un escamotage contro l'emorragia in corso, come dimostra la "componente valdostana" dei giocatori, servita ad evitare che la falla sullo scafo del "Titanic - Casinò" fosse così grande da andare subito a picco. Oggi regna l'imbarazzo. Da una parte la Casa da gioco capisce - e con lei gli amministratori regionali - che il vizio del gioco è una malattia ormai diffusa anche in Valle, e basta monitorare la situazione sociale per capirlo. Perciò la ludopatia vede una responsabilità non solo dello Stato biscazziere, ma anche della Regione biscazziere, che gestisce direttamente il Casinò (con una Spa pubblica che si dice «pubblica» quando c'è bisogno e si autoproclama «privata» quando è utile…). Dall'altra, in una specie di forbice incongrua, la Casa da gioco deve incrementare la partecipazione al gioco dei locali per fare incassi e presenze. L'aspetto singolare, dunque, sta nel fatto che, ad esempio con una serie di feste dedicate ai valdostani - che inizieranno mercoledì prossimo sulle tracce delle feste svolte alle Terme di Saint-Vincent - si cerchino nuovi giocatori (malgrado il celebre "buco" del passato della "Disco Slot" e l'uso discutibile dei promoticket…), mentre la "Saint-Vincent Resort" fa accordi con la sanità pubblica per arginare i "viziosi" del gioco della nostra Regione. Come se la mano destra non sapesse bene cosa fa la mano sinistra e dimostrazione che studi, cultura e curriculum non sono un optional. Usando il latino, di cui parlavo ieri: "Mala tempora currunt".