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02 dic 2013

La partenza dello sci

di Luciano Caveri

Ci sono stati anni in cui sciavo come un pazzo. Ricordo la compagnia di Champoluc, un misto fra noi autoctoni e turisti di diverse provenienze, con cui vagavamo sulle piste di un Monte Rosa sempre più vasto, dapprima il vecchio comprensorio storico del Crest, poi l’allargamento utile per lo scollina mento verso Gressoney-La Trinité e poi, infine, il complesso sistema di funivie verso e da Alagna Valsesia. Credo negli anni di aver dato, in varie vesti, di aver dato il mio contributo per la nascita di questo enorme e vario comprensorio del "Monterosaski".

Ma oggi quel che conta è il ricordo della voglia di sciare, inanellando - a seconda delle stagioni - piste su piste e fuoripista o in neve fresca o in neve "trasformata". Il baby boom esisteva ancora e lo sci era uno sport relativamente "fresco" e in ascesa, che noi ragazzi interpretavamo con questo modo di sciare un gruppo - come una banda di gitani - che vagavano per tutta la giornata in modo vociante e anche spericolato. Di questo gusto del pericolo sono stato vittima qualche volta. Ricordo l'idea balzana di salti sulle cunette (un tempo le piste non erano lisce come i biliardi), che mi costò legamento crociato e menischi di una gamba per una rotazione del tutto inopportuna. Così come quella volta in cui, sbagliando il canalone di discesa verso il paese, ci trovammo in un punto - e i telefonini non c'erano - così verticale da farsela addosso. Beata gioventù, direi, ma anche il segno di un approccio allo sci che sta cambiando e lo ricordo proprio alla vigilia di un'apertura piuttosto anticipata della stagione sciistica in Valle d'Aosta. La clientela italiana diminuisce e invecchia. Si stenta a trovare persone interessate allo sci e non solo per problemi demografici e cattivo rapporto fra turismo invernale e scuole (a differenza, ad esempio, della Francia), ma anche perché lo sci è diventato sempre più caro fra costi degli impianti, delle attrezzature e il denaro necessario per benzina e autostrade. In parte, a compensazione, si può contare su di una clientela estera - pensiamo a russi, scandinavi e giapponesi - che sceglie le vecchie Alpi come luogo di interesse per le loro vacanze, ma certo questo non basta e si ha sempre l'idea che, malgrado certe riforme del turismo, manchi ogni forma reale di coordinamento e del mio vecchio pallino si sapere bene "chi fa che cosa". L'impressione è che non esistano più due aspetti nel settore impiantistico vero e proprio. Negli anni in cui mi occupavo di impianti a fune con responsabilità a livello italiano, si cercava - al di là della logica concorrenziale fra stazioni e Regioni - di disegnare una strategia comune, che oggi sembra del tutto appannata. Così come si coltivavano altre due piste (mai espressione suona più adatta), che sono poi riassumibili in solo argomento: una cooperazione internazionale per il turismo della neve fra vicini, ma anche in una dimensione alpina e persino in un contesto europeo più vasto. Ad eccezione di aspetti più propriamente tecnici, da giocarsi a livello comunitario e persino mondiale, direi che anche queste strategie sono finite nel dimenticatoio. Spesso - almeno nel caso valdostano - per l'invecchiamento di alcuni protagonisti che non mollano l'osso e per nuove leve scelte per meriti politici e non professionali. E pensare che la macchina del turismo invernale, al di là dei "turismi" più o meno dolci o alternativi, ruota ancora attorno allo sci alpino, anche per la crisi dello sci nordico, pur emergendo nuovi interessi dallo scialpinismo più di massa alle ciaspole per i non sciatori. Morale? Forse sarebbe il punto, come accadde in passato, di avere - al di là del disegno politico di razionalizzazione e di accorpamento dei comprensorio che è condivisibile, ma non sempre chiaro - di avere qualche forma di Assise italiana e europea che non si occupi solo dell'evoluzione tecnologica, ma che comprenda come il mercato su muova. Altrimenti il terribile tsunami della crisi rischia, come già sta avvenendo altrove, di portare alla lenta ma ineluttabile chiusura di interi pezzi di stazioni sciistiche, cominciando dai più deboli. Darwin insegna, ben prima delle regole spietate dell'economia di mercato.