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03 dic 2013

Una personalità: Adriano Olivetti

di Luciano Caveri

Nel "panthéon" dei propri padri nobili ognuno, legittimamente, mette chi vuole. Per me, a parte alcuni intoccabili, capita, ogni tanto, di dimostrare interessi nuovi per personalità che possono dare spunti - fatta la tara per il tempo trascorso - per il presente. Dopo un modesto sceneggiato televisivo andato in onda di recente, si è accresciuto l'interesse generale verso quella multiforme personalità che fu Adriano Olivetti, che non era certo il personaggio così come ricostruito con cartoline improbabili nella fiction, che risultavano prive del mordente che la biografia avrebbe permesso con fatti di vita vissuta. Ho studiato al Liceo classico ad Ivrea e ancora allora risuonava l'eco di quella sperimentazione sociale che fu "Comunità". Qualcosa che arriva dal passato, mentre la città si avviava verso la fine dell'Olivetti, fra lampi di un passato prestigioso e la pioggia fredda di un "gruppo" che usciva di scena, vittima di pescecani della grande finanza, che prima hanno fatto spezzatino delle sue imprese e poi l'hanno svenduto. In tempi non sospetti, ho letto quanto uscito su Adriano Olivetti, sperando di capirne di più e formarmi un'opinione compiuta. Ho esitato a scriverne, perché ancora oggi la sua personalità mi sfugge. Rispetto alla Valle d'Aosta, il dato più conosciuto risale al 1936, quando avviò un immaginifico studio preparatorio per un piano regolatore della Valle d’Aosta (in quegli anni Ivrea faceva parte della "Provincia di Aosta", voluta dal fascismo nel 1927). Certamente Olivetti seguì ancora le vicende valdostane fra Resistenza e dopoguerra per le ricadute sul Canavese. In seguito le sue imprese industriali hanno avuto un'evidente conseguenza sulla Valle per chi scese a lavorare nelle fabbriche o rilevò aziende agricole nell'eporediese, sostituendo agricoltori che divennero operai. Ma ci furono poi una serie di aziende targate "Olivetti" che, specie nell'ultima fase, quando Adriano non c'era più (morì nel 1960 a soli 59 anni), vennero in Valle per i vantaggi derivanti dall'installazione di imprese. Con la chiusura dello stabilimento d'Arnad la storia è finita, com'era avvenuto per gli stabilimenti che si occupavano di parte dell'indotto. Il punto che più mi interessa è in campo politico, anzitutto con la nascita, nel 1948, del celebre "Movimento di Comunità", per il quale Adriano Olivetti fu eletto deputato nella terza legislatura della Repubblica (1958), la stessa in cui c'era alla Camera mio zio, Séverin Caveri, di cui mi sfuggono i rapporti personali e politici con l'Ingegnere. Sicuramente li univa l'attenzione per il modello federalista e una visione europeista. Su Olivetti trovo interessante un piccolo libro del noto sociologo, Franco Ferrarotti, che gli subentrò quasi subito alla Camera, intitolato "La concreta utopia di Adriano Olivetti". Vorrei dirvi che cosa ho capito: a) sbaglia chi riduce Olivetti ad una "fotogenica caricatura"; b) il suo non è stato un "paternalismo padronale", era semmai un "autentico riformatore";
c) ha capito la forza della comunità e della "piccola patria", pur nella più vasta comunità umana; d) la sua spinta politica era basata sull'importanza assai concreta della cultura e non su sogni utopisti; e) Olivetti ha previsto con fiuto che la grande speculazione finanziaria avrebbe fatto grandi danni; f) la visione federalista evita l'"angustia municipalistica" o il "paternalismo strapaesano"; g) si deve ad Olivetti il primo uso del termine "partitocrazia"; h) capisce fra i primi come il parlamentarismo tradizionale vada in crisi in una società complessa; i) "tutto il potere alle comunità!" è la risposta al centralismo dello Stato; l) memore del dramma del nazifascismo e delle dittature comuniste, immagina un insieme di comunità umane basate su valori e non sulla logica "sangue e suolo"; m) la comunità naturale è il locus originario della libertà; n) la rivitalizzazione dell'iniziativa dal basso è la condizione essenziale per lo sviluppo della comunità; o) è interessante il suo cattolicesimo, frutto anche di un padre ebreo e una madre valdese. Mi fermo qui, con lo stupido rimpianto che ogni tanto ci prende per qualcuno che ci ha preceduti, quello di non averlo conosciuto. Il suo ufficio era sempre aperto e chiunque volesse poteva parlargli. E io, se fosse possibile oggi, lo avrei fatto volentieri.