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28 nov 2013

Se anche il Natale s'ingrigisce

di Luciano Caveri

Avevo notato, in un recente passato, come il Natale - nel suo contenuto commerciale - fosse diventato terribilmente aggressivo. In una specie di rincorsa, si incominciava sempre prima il punto di avvio, scandendo un conto alla rovescia che finiva per essere quasi ridicolo e segno di un rampantismo consumistico persino grottesco. Quest'anno noto, invece, che una patina di grigiore avvolge tutto, quando ormai siamo a un mese dal culmine dei festeggiamenti. E' l'aria dell'epoca più di quanto possano mostrarlo cifre e statistiche della famosa e ancora ben presente crisi, giunta purtroppo al suo quinto Natale.

Questa cappa di pessimismo e preoccupazione non incide - intendiamoci bene - solo su aspetti esteriori, dalle luminarie agli addobbi, dalle scelte nei consumi alla pubblicità calante, ma è in qualche modo un peso personale e collettivo che grava su ciascuno di noi. Come se il peso delle preoccupazioni fosse un sacco da montagna messo sulle spalle. Da questo punto di vista, mi sono fatto un'idea. La crisi, con tutte le sue origini economiche e finanziarie ormai svelate nella loro infinita complessità, grava in modo opprimente non solo per gli oggettivi e generalizzati peggioramenti nella qualità della vita di ciascuno e per la crescita di situazioni di difficoltà e povertà, ma anche perché manca un elemento concreto: la prospettiva. L'impressione è che, così come avvenne nella nascita della crisi che sfuggi alla percezione dei più, compresi la gran parte degli economisti che nulla di specifico seppero prevedere, lo stesso vale purtroppo - almeno in Italia, dove le sabbie mobili sembrano peggiori che altrove - per l'uscita da questa maledetta crisi. In tanti, ancora nelle settimane scorse, si sono sbilanciati, annunciando che fra un anno ci sarà l'attesa ripartenza, ma sfuggono elementi veri che confortino la previsione. Credo che sia, in fondo, questa la ragione di un Natale che si preannuncia depressivo, in senso economico e anche psicologico. L'ottimismo è uno dei grandi motori della nostra vita, ma non è un elemento astratto, meramente caratteriale, avendo invece bisogno - qui e ora - di qualche appiglio che ci serva per poter fondare questo nostro sentimento di speranza. Quel che colpisce e deprime è un ripiegamento della politica in una sorta di catatonia. Lo si vede bene in Valle d'Aosta dove chi governa ha fatto del grigiore la sua bandiera, in una rassegnazione muta a tagli indiscriminati e a un quotidiano ridimensionamento delle ragioni fondanti dell'autonomia speciale. Come se si fosse imboccata una via senza speranza, cui ci si deve adeguare in modo meccanico e muto per restare comunque al potere, costi quel che costi e non certo per il bene pubblico. O si inverte la marcia o la vedo dura.