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24 ott 2013

Se la Protezione Civile è distante

di Luciano Caveri

La notizia ha suscitato interesse: solamente 48 persone (tredici di Charvensod e trentacinque di Pollein), su di un potenziale di seicento cittadini, hanno partecipato giovedì scorso all'annuale esercitazione per la frana della "Becca di Nona", una delle montagne simbolo degli aostani, purtroppo così friabile da rendere pericolosa la vita a chi abiti lì sotto. Sono passati ormai tredici anni dalla morte di sette persone per una colata detritica, nel corso delle terribili pioggie e conseguenti inondazioni e smottamenti dell'ottobre 2000, che precipitò a valle lungo quello che viene chiamato un "conoide alluvionale". Ricordo di persona quelle immagini, indelebili nella memoria, per aver percorso a piedi quei luoghi, poco dopo la tragedia, nel dolore immediato per fatti che crearono angoscia e dolore in tutta la comunità. Per anni, oltre ai lutti, ci sono stato segni indelebili in quella zona e in altre, come le "zampate" sulle montagne poco sopra Fénis o certe parti distrutte a Nus, così come seguirono importanti e diffusi lavori per bonifiche, ripristini e opere di contenimento. Perché le persone non hanno partecipato? Certo più si affievolisce la memoria e meno funziona la leva della preoccupazione. Poi sono stati fatti lavori importanti per evitare che, in circostanze analoghe, possa capitare qualche cosa di simile e dunque la popolazione è meno spaventata e perciò meno partecipativa. Ma c'è dell'altro. Ho l'impressione che, negli anni successivi a quegli eventi spaventosi, la Protezione Civile - io almeno rispondo per gli anni in cui me ne occupai - vivesse in clima di grande operosità, seguendo un pensiero. La mia idea era ed è che va benissimo il ruolo dei professionisti che ruotano attorno alle emergenze, grazie al potere di coordinamento che da noi viene svolto dal presidente della Regione, che esercita in Valle anche le funzioni prefettizie. In più va anche molto bene lavorare e collaborare con il vasto e eterogeneo esercito del volontariato, che crea un reticolo di protezione umano, indispensabile in montagna accanto alle colossali opere infrastrutturali di protezione. Ma, in una comunità piccola come la nostra, con rischio di molte situazioni di isolamento in casi estremi, tutta la popolazione deve essere componente della Protezione Civile. Per questo ci deve essere organizzazione capillare, formazione diffusa, consapevolezza su chi deve far cosa e come agire in caso di situazione di emergenza. Mi pare che su questo coinvolgimento complessivo non ci siamo affatto. Io, come cittadino, nel mio Comune di residenza, che è Saint-Vincent, pur pensando di possedere un grado di conoscenza piuttosto elevato, io non so assolutamente che cosa dovrei fare di fronte a diversi scenari emergenziali e purtroppo è una mancanza diffusa. La Protezione Civile è un'entità considerata distante e burocratica. Trovo che sia un peccato e il caso recente dovrebbe suonare come un campanello d'allarme per il fossato che si è creato fra decisori e popolazione "normale", cioè non inquadrata in qualche logica associazionistica di supporto. In quest'epoca di cambiamento climatico, i rischi aumentano e si moltiplicano e ogni valdostano dovrebbe poter portare il suo contributo, quando e laddove necessario. Anche per evitare drammi.