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03 set 2013

La sindrome di Stendhal

di Luciano Caveri

Non si può che pensarci con stupore - annotate questo termine - all'impresa che iniziò, sul territorio valdostano, il 14 maggio del 1800, quando 40mila soldati dell'Armée de Reserve, sotto la guida del Generale Napoleone Bonaparte, allora trentenne (qui in effige durante l'attraversamento del Colle), iniziarono la discesa verso Aosta dalla sommità del Colle del Gran San Bernardo per la seconda Campagna d'Italia. Vorrei avere una macchina del tempo e appostarmi in un belvedere per osservare la fiumana di gente e animali delle truppe e registrare la stupefatta reazione dei nostri montanari, che nei loro costumi carnevaleschi hanno impresso i segni di quell'episodio. Fu poi a Bard - e la storia verrà ricostruita fra due giorni con abiti d'epoca e eserciti contrapposti come 213 anni fa - che si scrisse una delle pagine più importanti nell'incrociarsi della "grande" Storia con la nostra Storia locale. In quell'esercito c'era anche Henry Beyle, che diventerà ben più noto sotto lo pseudonimo letterario di Stendhal, al tempo appena 17enne. Molti anni dopo, nel suo romanzo autobiografico "La vie de Henry Brulard", Stendhal tornò con la memoria a quella battaglia dei francesi contro gli austro-piemontesi ai piedi del Forte di Bard: "...la cannonade de Bard faisait un tapage effrayant; c'était le sublime, un peu trop voisin pourtant du danger. L'ame, au lieu de jouir purement, était encore un peu occupé à se tenir... C'était pour la première fois que je trouvais cette sensation si renouvelée depuis: me trouver entre les colonnes d'une armée de Napoléon". Ma dicevo all'inizio dello "stupore", quello che Stendhal proverà, in forma patologica, dopo la visita nel 1817 della Chiesa di Santa Croce a Firenze : "Absorbé dans la contemplation de la beauté sublime, je la voyais de près, je la touchais pour ainsi dire […] En sortant de Santa Croce, j'avais un battement de cœur, la vie était épuisée chez moi, je marchais avec la crainte de tomber". Questa sensazione, che si declina poi in forme più o meno forti, diventerà nota e accertata scientificamente come "sindrome di Stendhal", che la "Treccani" medica così descrive: "Complesso di manifestazioni di disagio e sperdimento psichico conseguenti a una forte esperienza emozionale subita, in particolare, da visitatori di centri storico-artistici dove più forte e caratterizzante è il contesto culturale. La definizione della sindrome è stata fatta in rapporto a quanto lo scrittore francese Stendhal scrisse dopo essere stato in visita alla chiesa di Santa Croce in Firenze. (....) L'analisi della sindrome ha messo in evidenza le complesse interazioni psicosomatiche che possono attivarsi in alcuni individui, con particolari condizioni psichiche predisponenti, quando il contesto ambientale favorisce gli aspetti di sradicamento rispetto alle proprie abitudini di vita". A me, in una logica estatica, qualche volta è capitato di trovarmi di fronte a panorami naturali o a monumenti in uno stato psichico di totale ammirazione e rapimento. Penso a certi scorci delle montagne valdostane, a orizzonti tropicali, a scorci di città come Roma o Parigi. Se la malattia non è troppo grave, con il Leopardi, "il naufragar m'è dolce in questo mare".