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14 ago 2013

Marina Marina Marina

di Luciano Caveri

Ogni tanto mi domando in quale altro Paese del mondo, se non in Italia, si affaccino idee e pensieri (oggi va di moda "suggestioni") che rendono la politica come una di quelle scatole a sorpresa da cui, se la apri, esce - con un meccanismo a scatto - un pupazzo beffardo. Indro Montanelli, che era un solido conservatore, ammoniva con la sua prosa puntuta: «In Italia a fare la dittatura non è tanto il dittatore, quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere un padrone da servire. Lo diceva Mussolini: "Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?"». Non conosco Marina Berlusconi. Ho letto sue interviste, ma non trovo da nessuna parte dichiarazioni filmate. E' il segno, piuttosto impressionante per la sua efficacia, di una strategia comunicativa costruita con aiuto di esperti. La donna manager, figlia di cotanto padre, vive in un alone di mistero, anche se in verità le foto - quelle sono abbondanti e agiografiche - restituiscono l'immagine di una giovane donna che riprende, senza problemi, il vizio paterno della chirurgia plastica. Dice e ripete oggi che non scenderà in campo, sostituendo papà Silvio - ormai acciaccato politicamente - nella rinata Forza Italia, ma questo non vuol dire niente. Negare una circostanza del genere può far parte della stessa strategia. Stressare l'attesa accresce l'attenzione e prepara la gioia per la probabile scesa in campo da parte dei berlusconiani che, in larga maggioranza, non si scandalizzano di questa scelta dinastica. D'altra parte l'house organ di famiglia, il settimanale rosa "Chi", ormai da anni - "Panorama" lo fa in maniera eguale, ma con carta patinata - tratta la famiglia Berlusconi con un'attenzione degna di una Casa Reale. Io non mi stupisco più di nulla nell'Italia attuale. E ho smesso di scandalizzarmi dello stomaco di chi, vivendo nell'adorazione del Capo, ne immagina una continuazione genetica, simile alla Corea del Nord. Non è una questione sentimentale e familiare, perché la proiezione in politica, vent'anni fa del padre e oggi della figlia, risponde a logiche di un Gruppo che oggi soffre di brutto e che cavalca la preoccupazione di una "sinistra" che azzeri "Mediaset" e il potere economico-finanziario della famiglia Berlusconi. L'autodifesa è comprensibile, se non fosse che incide sulla politica, in una commistione impensabile in una normale democrazia occidentale, simile per altro in originalità ad un "governissimo" in cui i partner si guardino in cagnesco. E' vero che ognuno ha i propri accidenti, ma quelli italiani sono un cocktail eccentrico e lo dico in senso negativo. Spesso ci si domanda dove sia il fondo del pozzo e si scopre che ce n'è ancora un pezzo, inaspettato. Siamo fermi, insomma, a Massimo d'Azeglio (1788-1866), che scrisse: «Gl'Italiani hanno voluto far un'Italia nuova, e loro rimanere gl'Italiani vecchi di prima, colle dappocaggini e le miserie morali che furono ab antico la loro rovina; [...] pensano a riformare l'Italia, e nessuno s'accorge che per riuscirci bisogna, prima, che si riformino loro».