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30 lug 2013

La montagna "fast" o"slow"?

di Luciano Caveri

L'interrogativo non è per nulla banale di questi tempi: la montagna è "fast" (veloce) o "slow" (lenta)? Io appartengo alla generazione che ha appreso, per educazione familiare, che la montagna è lentezza e contemplazione. Ricordo quando mio papà raccontava delle gite con i suoi - molti - fratelli, sotto la guida del primogenito Séverin con l'ammonimento di camminare in modo cadenzato con "la figure au soleil". Questo avveniva in particolare a Pila, dove i miei - come molta "bourgoisie" aostana - affittavano o compravano una casa lassù per salire in montagna d'estate e d'inverno. Vi era la certezza che la montagna facesse bene e non era un pensiero peregrino in questa impostazione salutistica dell'aria buona in quota, che passava attraverso il cimento fisico con camminate e alpinismo vero e proprio e poi, in stagione, lo sci ancora pionieristico. C'era in tutto questo un'educazione sentimentale, che era anche un collegamento romantico con il mondo contadino, considerato il presidio certo e sicuro delle alte quote. L'ho vissuto in parte nella mia infanzia e un pochino credo di averlo trasferito ai miei figli in questo mondo che sembra distante un abisso dalla semplicità di un tempo, quando una semplice scampagnata, andare a cercare fragoline di bosco, raccogliere i funghi, una lunga camminata con parenti e amici era una gioia essenziale, senza troppi fronzoli. Per questo osservo con curiosità la logica del "fast", specie con la moda crescente del "Trail", cioè in sostanza una forma di corsa in montagna, imparentata in qualche modo con la valdostana "martze a pià". La gara più famosa resta il "Tor des Géants", nata nel 2010, con una forma endurance su più giorni, così descritta nel sito della gara: "Il percorso si snoda lungo le due Alte Vie della Valle d'Aosta con partenza ed arrivo a Courmayeur per un totale di circa 330 chilometri e 24.000 metri di dislivello positivo, seguendo per prima l'Alta Via numero 2 verso la bassa Valle e ritornando per l'Alta Via numero 1. Il passaggio ai piedi dei quattromila valdostani rende il percorso di una bellezza unica". Ho molti amici che lo hanno fatto e che, in vari ruoli, hanno partecipato alla lunga competizione. Tutti concordi che è una prova massacrante ed è ricca l'aneddotica su chi perde la testa proprio per gli sforzi terribili e basta leggere i social media per capire come questa prestazione - per chi la fa - si ammanta di un misto tra mito e leggenda per un'élite di atleti che si allena tutto l'anno per far bella figura (compreso qualche politico tipo "battaglia del grano" del Buonanima durante il Ventennio). Su questa competizione e su altre si concentra lo sforzo promozionale e economico dell'estate in Valle d'Aosta: evidentemente si pensa che la montagna atletica e agonistica sia da privilegiare rispetto alla lentezza. Chissà se si tratta di una moda passeggera. Per altro un grande alpinista degli "ottomila", che ho frequentato al Parlamento europeo, Reinhold Messner, ha scritto: «Camminare per me significa entrare nella natura. Ed è per questo che cammino lentamente, non corro quasi mai. La Natura per me non è un campo da ginnastica. Io vado per vedere, per sentire, con tutti i miei sensi. Così il mio spirito entra negli alberi, nel prato, nei fiori. Le alte montagne sono per me un sentimento».