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30 lug 2013

Anche noi siamo la Natura

di Luciano Caveri

Una delle regole è guardarsi attorno per vedere i segnali della Natura cui apparteniamo. Ricordo come mi montasse la carogna quando, all'inizio degli anni Novanta, nella discussione sulla legge quadro sui Parchi, uscisse la parolina passepartout "antropizzazione" (complesso degli interventi che l'uomo compie sull'ambiente naturale al fine di adattarlo ai propri bisogni), come orrore verso l'Ambiente con la "a" maiuscola. Io mi sforzavo di dire come, almeno sulle Alpi, ci fosse un "volto buono" della presenza umana, ormai da millenni, ma ho imparato - anche con quelle discussioni di allora - quanto si debba rifuggire dagli integralismi, che allontanano dalla ragionevolezza. Convincendomi, per altro, che - ma poi ne studiai le irrazionali radici ideologiche - chi pensa ad una Natura buona, cui si contrapporrebbe un Uomo sempre cattivo, sragiona. Per l'ovvia considerazione che anche noi siamo la Natura. E questo comporta raziocinio e intelligenza nei propri comportamenti, specie quelli distruttivi che pure purtroppo esistono, ma non il paradosso di un uomo "espulso" dal Pianeta. E' davvero interessante, in questo senso, quando ti capita, di riflettere sulla ricaduta del clima. Non mi riferisco al caldo di queste ore - con "Caron dimonio, con occhi di bragia..." - che picchia duro e si boccheggia, quanto al periodo prima, in cui c'è stato un inverno con neve tardiva, una primavera senza sole e un esordio d'estate con la pioggia. Così ci siamo trovati alpeggi con la neve in quota, nevai sui sentieri più alti, api senza una buona fioritura, giardini alpini con piante fattesi più piccole, orti con verdure in ritardo, idem per i frutteti e le viti minacciate dai parassiti. E mi limito a poche osservazioni di un campionario che potrebbe farsi lungo e potrebbe riguardare anche un capitolo "umano": grandine che ti picchietta sulla macchina, zanzare tigre che ti pungono, pioggia tropicale che crea laghi sulle strade e altre amenità. In fondo il ritmo del clima ci accompagna nella nostra vita ed è sempre stato così dall'antichità ad oggi, come si vede dal popolamento più o meno in quota e dal limite delle coltivazioni di sulle nostre montagne e cereali che salivano e scendevano a seconda del fatto che si potessero o no coltivare. Ricordiamo poi i sentieri intervallivi, di cui il Colle del Teodulo nell'alta Valtournenche era uno dei punti di snodo del commercio di un tempo a seconda appunto del movimento avanti e indietro dei ghiacciai. Oggi esemplare è la vite, che profittando del riscaldamento tende ad arrampicarsi sempre più in alto o anche la sofferenza o meno di certi uccelli - tipo pernice bianca o gallo forcello - cui, per patrimonio genetico, il caldo fa schifo. Osservazioni che mirano a dire, per le persone come noi che i cambiamenti li vedono negli anni in modo vivido, che questi famosi cambiamenti climatici non devono essere oggetto solo di studio scientifico. Purtroppo, infatti, le ricadute pratiche ci investono con violenza e non bisogna far finta di niente, perché se la nostra vita vale - e non ha un confine oltre al quale qui non ci saremo più - è proprio per quel che lasceremo alle generazioni a venire.