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23 lug 2013

Non è solo lo "ius soli"

di Luciano Caveri

La convivenza in Valle d'Aosta non si ferma e deve essere improntata a valori sempre praticati di integrazione e di reciproco rispetto. Le generazioni come la mia si trovarono a scuola con bambini arrivati da poco dal sud, mio papà giocava ad Aosta con i veneti appena arrivati in città, mio nonno assistette da ragazzo - sempre in via Sant'Anselmo - all'arrivo dei commercianti piemontesi nel Borgo con le loro famiglie. In altri Comuni si potrebbe dire dei friulani, dei lombardi, dei sardi e via così in un "Giro d'Italia" che arrivò in Valle... I miei figli hanno avuto, nella loro vita sino ad oggi, compagni di classe e amici che arrivano da diversi Paesi: Albania, Marocco, Cina, Ucraina. L'altro giorno il più piccolo giocava ai giardinetti con un piccolo indiano. Credo che oggi siano oltre settanta i Paesi rappresentati in Valle sul totale - la foto cambia in fretta - dei 204 Stati presenti nel mondo e riconosciuti come tali.

Se la crisi ha rallentato il fenomeno di immigrazione, il tasso demografico sempre basso e la "crescita zero" (più morti che nuovi nati, compresi quelli proprio degli immigrati, che siano di entrambi o di un solo genitore) confermano che la Valle d'Aosta cambia ed parliamo, tuttavia, di un cambiamento da sempre presente nella storia. In fondo questa "trasfusione" è cominciata dall'indomani del primo popolamento delle nostre montagne e è avvenuta, dall'antichità ad oggi, con flussi ora intensi e ora con il contagocce. Oggi siamo in un movimento vastissimo e epocale di spostamento in particolare dai Paesi più poveri verso l'Europa e presumere un controllo regionale sul fenomeno fa i conti con la realtà. Questo non significa disinteresse per forme di regolazione, ad esempio su offerta e domanda di lavoro, controlli seri su regolarità delle presenze e rispetto delle norme del nostro diritto, scelte intelligenti per un dialogo e forme di accoglienza che combattano le discriminazioni. Compresa beninteso l'accortezza, al contrario, di politiche che mai possano suonare come penalizzanti per i valdostani residenti in precedenza. Il tema immigrazione - per evitare incomprensioni o peggio xenofobia - va discusso e limitarsi al solo "ius soli" rischia di servire solo alle polemiche. Certo i meccanismi attuali di ottenimento della cittadinanza, con tempi epocali e meccanismi oscuri e discrezionali, creano lunghe attese e situazioni gravi, specie per chi è nato qui o ci vive da decenni. Centralizzare certe decisioni su Roma, come oggi, è sbagliato e oltretutto allunga i tempi e rende meno facili certe verifiche. Ogni regola migliore, più rapida e rispondente alle necessità deve fare i conti con problemi di conoscenza della cultura ospitante, del nostro diritto e soprattutto delle lingue del Paese di accoglienza e norme cogenti per chi delinque e non deve profittare di norme vantaggiose, a vantaggio anche e proprio di chi sceglie di insediarsi con civiltà e onestà. Non si deve mai trattare di un'abiura degli usi e costumi che compongono la propria identità, ma di una "fusione" con quanto la Valle d'Aosta ha accumulato sino ad oggi nella propria tradizione, compresi diritti e doveri che fondano il nostro ordinamento giuridico. Tutto facile a dirsi, più difficile a farsi e non vedo alternative ad impegnarsi sul dossier, sapendo che su molte cose il quadro deve avere una cornice di fonte europea, ma l'originalità del l'approccio deriva dagli equilibri delicati di una comunità piccola come la nostra.