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19 lug 2013

Ah, la pizza!

di Luciano Caveri

"Pizza" assieme a "ciao" è una delle parole che qualunque straniero conosce dell'Italia. Poi magari, scavando, spunta anche qualche altra parola genere "Roma", "Venezia" e - buona in tutto il mondo - "mafia" e esiste poi un filone canoro su cui spicca "Volare" e cantanti simbolo genere "Celentano" e infine ci sono le squadre di calcio. Non me ne stupisco affatto: la conoscenza della geografia e delle culture altrui non è un privilegio di tutti all'estero e, in una logica di reciprocità, ciò vale per gli italiani stessi. Io stesso ogni tanto vacillo, per quanto sin da bambino mi piacessero mappe e mappamondi e penso di avere una conoscenza discreta di culture di altri Paesi. Poi, fatta salva la geografia e cenni sulle caratteristiche dei "diversi da noi" o presunti tali, i pregiudizi reciproci sono bilaterali e multilaterali: il cosmopolitismo è privilegio di pochi. Così, per quanto orripilato dallo stereotipo - che riduce la ricchezza ad un francobollo - "italiano, pizza, pasta e mandolino", sono e resto un grande difensore della pizza. Oltretutto, le mie lontane (papà) e vicine (mamma) origine liguri mi hanno sempre fatto apprezzare il prodotto nella versione a taglio della Riviera di Ponente (ma i Caveri erano del Levante, esattamente Moneglia). E' una pizza morbida e non croccante, dotata di olive taggiasche d'ordinanza da consumarsi in qualunque ora del giorno, prima colazione compresa. Ma poi nella vita la mappatura della pizza, partendo dalla napoletana ma con altre varianti del Sud, con incursione di prova nell'incredibile catena "Pizza Hut", si è completata in vario modo nelle molte versioni possibili. Così scopri che, fatto salvo il nome "pizza", sotto la stessa definizione albergano cose diversissime. Il sito pizza.it sull'etimologia sostiene: "Dalla parola latina "Puls" (pappa, pappina) deriva la parola italiana "polenta o polentina"; le polentine o "puntes" erano il cibo di tutte le antiche popolazioni italiche, come lo erano state per gli uomini della preistoria, ed è da questa poltiglia impastata e cotta che deriva la nostra pizza. Il termine "Pizza" deriverebbe da "Pinsa", participio passato del verbo latino "Pinsere", che significa pestare, schiacciare, pigiare, frantumare, macinare, ridurre in poltiglia". Se poi vai su "l'Etimologico" ti prende male, perché le cose si complicano: "la semplicità fonetica di una parola come "pizza", con le varianti "pinza" sulla costa alto-adriatica e "pitta" in Calabria e nel Salento, la espone a molteplici interpretazioni etimologiche, che si contrappongono secondo almeno quattro filoni: quello greco-semitico, orientato verso il bacino del Mediterraneo, quello germanico che chiama in causa Goti e Longobardi, quello di ascendenza diretta indoeuropea e quello del sostrato con epicentro illirico. Tutte le proposte hanno qualche argomento forte a proprio favore, ma nessuna è in grado di render conto di tutte le varianti e della loro distribuzione geografica. L'ipotesi greco-semitica si fonda sulla presenza di "pitta" in calabrese e in salentino in continuità coi Balcani (greco pit(t)a, albanese pite, serbo pita, rumeno pită, ungherese pite, turco pita), che a loro volta sono debitori della Siria e della Palestina (aramaico pitā, dalla radice verbale ptt "sbriciolare, sminuzzare"); l'efficacia della motivazione dal verbo semitico si arresta però di fronte alle varianti "pizza" e "pinza". L'ipotesi germanica si fonda sul fatto che solo la fenomenologia fonetica del gotico e del longobardo è in grado di spiegare le varianti "pitta", "pizza" e "pinza", che si riscontrano nei testi medievali come corrispondenti al latino buccella "boccone" e "panino" e che chiamano in causa il gotico "-bita" e il longobardo "-pizzo" "morso, boccone" (a. alto tedesco bizzo "morso", tedesco Bissen); ma il contatto romanzo-germanico ha confini ben precisi che non hanno giurisdizione sul Mediterraneo. L'ipotesi indoeuropea, poi abbandonata dal suo stesso sostenitore, è in grado di dominare l'area italiana e balcanica, ma si fonda sulla ricostruzione di una forma "-pĭtu" "cibo", che è priva di consistenza e di evidenza. L'ipotesi del sostrato aggiunge a questi difetti l'evocazione di un fantasma "-pĭtta", privo di fondamenti storici. La conclusione che emerge da questi confronti è che una soluzione unitaria non pare possibile; il calabrese e salentino "pitta" è in continuità con l'area mediterranea e risale in ultima analisi all'aramaico "pittā", documentato fin dal secondo secolo d.C., mentre "pizza" (con la variante "pinza"), le cui prime attestazioni in documenti latini datano alla fine del decimo secolo, è riconducibile alla famiglia del latino "pi(n)sāre" "pestare, schiacciare con le mani", latino volgare "-pisiāre" ("pigiare"). A questo verbo risalgono diversi termini culinari, che indicano cibi ottenuti manipolando una sfoglia di acqua e farina, come i "pici" senesi, che sull'Amiata diventano "piciarelli" e nell'Umbria adiacente "picchiarelli"; proseguendo la sua deriva fonetica, il nesso "-sja-" si è rafforzato in "-tsja-", da cui "pizza" e "pinza" con nasalizzazione della geminata". Se siete ancora vivi dopo la spiegazione - ho messo un po' di tempo a capire cosa fosse la misteriosa "nasalizzazione della geminata" che dovrebbe essere la risonanza nasale della voce che porta al raddoppio della "z", forse!) - resta il fatto che, per riffa o per raffa, questa "pizza" ha tanti genitori! Se Umberto Bossi, mangiatore di pizza, scoprisse la "pista longobarda" saremmo a posto. Ma dalle Americhe, attenzione attenzione, è arrivato il decisivo pomodoro...