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23 lug 2013

Dal Kazakistan all'orango

di Luciano Caveri

Il "caso Shalabayeva" ed il "caso Calderoli" infiammano la politica italiana, ma sarebbe bene dare una gerarchia alle due notizie per evitare di tutta l'erba un fascio. Il primo è un intrigo internazionale e una vicenda politico-giudiziaria di una delicatezza estrema, il secondo è un caso di polemica politica da non sottostimare, ma dai contorni tutti italiani, anche se sulla stampa internazionale abbiamo fatto una figura di palta. Entrambe le questioni, unite dall'insolito destino della contemporaneità, sono il segno di un degrado della politica e dimostrano come la sfiducia dei cittadini non sia una lamentazione campata in aria, ma ci siano fatti e circostanze che sono il segno distintivo che le cose non vanno. La storia di Alma Shalabayeva è ormai nota: è la moglie di un dissidente kazako, rimpatriata nel suo Paese di origine, dove c'è una feroce dittatura, lo scorso 29 maggio con la figlia, dopo un blitz della Polizia in una villetta alle porte di Roma. Siamo di fronte ad una sorta di museo degli orrori-errori fra procedure, decreti, passaporti, giudici e funzionari. Dulcis in fundo la sua espulsione è stata revocata, ma comicamente a cose fatte! Molti tremano perché alla fine, nella logica legittima in Occidente, dello "cherchez le politique" al Viminale tira una brutta aria per Angelino Alfano. Se il Ministro sapeva (ma lui nega al Senato) è politicamente finito, ma se non sapeva, fa comunque una brutta figura per un omesso controllo su un dossier bruciante e che inerisce diritto internazionale e diritti umani. Giganteggia il sospetto che il Kazakistan ed il suo dittatore abbiano goduto di autorevolissimi "aiutini" e se fosse stato così penso che lo vedremo. Quella di Roberto Calderoli, già ministro e oggi vice presidente del Senato, è storia più semplice e rozza: ha detto in un comizio - immagino per scaldare la "base" - che il ministro dell'Integrazione, Cécile Kyenge, italiana di origine congolese, «somiglia ad un orango» e questo riecheggia la propaganda razzista - incanalata poi nello sterminio - dei nazisti. Perciò una battuta che non solo non fa ridere, ma dimostra una vena xenofoba non nuova nell'esponente leghista e non ci sono attenuanti. Sono state chieste le sue dimissioni, ma lui si è attestato sulle scuse. Anche qui dobbiamo seguire le prossime puntate. Non credo che né l'una né l'altra vicenda siano da sottostimare. Usare il silenziatore, come in Valle d'Aosta c'è chi tenta di fare sulla 'ndrangheta e su certi reati contro la Pubblica amministrazione (ma i nodi verranno al pettine), sarebbe davvero un segno di degrado nel degrado. Ci sono, infatti, degli indicatori della democrazia, della civile convivenza, dell'etica pubblica e persino dell'educazione che non devono scendere sotto un certo livello. Altrimenti, finiremmo tutti nei guai e l'Unione europea dovrebbe cominciare a trattarci - con giusto senso della decenza - come degli appestati ed i cittadini italiani, a casa loro, dovrebbero smettere di specchiarsi per la vergogna.