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28 mag 2013

Il dovere di ricordare Valdengo

di Luciano Caveri

Giuseppe Valdengo aveva più di cinquant'anni quando lo conobbi e domani sarebbe stato il suo novantanovesimo compleanno, segno che entriamo nell'anno che ci porterà alla data dei cent'anni dalla nascita e spero che la Valle nei mesi prossimi onorerà questo famoso baritono, valdostano d'adozione. Per noi studenti delle Medie di Verrès era professore di musica e "il Maestro": un uomo brillante, sempre sorridente, che arrivava a scuola - con l'aria di una persona piacente e di mondo - a bordo di un "Maggiolino" verde. Io gli ero simpatico, forse perché sinceramente ammirato dal suo carisma e dal suo anticonformismo, e fu una simpatia che mi dimostrò sino agli ultimi anni della sua vita, ogni volta che ci incontravamo e mi diceva con quanto piacere avesse seguito il mio percorso politico. Da ragazzino non sapevo bene chi fosse Valdengo, lo scoprii poi con un libro che mi regalò e oggi sarebbe più facile informarsi con filmati e testi su Internet, che rendono omaggio al grande artista, all'uomo senza peli sulla lingua, al formatore di talenti senza la giusta riconoscenza, al moralizzatore senza successo di un mondo della lirica pieno di magagne. Amava la Valle, ma solo ora capisco quanto questo "buen retiro" fosse in parte una medicina amara. Da anni seguo, di tanto in tanto, pur non capendo un tubo di musica, il programma di "Radio3", "La Barcaccia" con i conduttori divertenti e caustici Enrico Stinchelli e Michele Suozzo. E proprio Stinchelli ha scritto su "OperaClick", in occasione della morte nel 2007 del mio caro Maestro: «Arturo Toscanini è stato il suo mentore e la sua gloria imperitura, Toscanini è stato anche il "padre padrone", il colossale macigno, forse anche l'incubo della sua lunga esistenza. Ancora una volta, e non sarà l'ultima, è il caso a suggerirci una impressionante verità: il baritono che più amò e odiò il "Maestro dei Maestri" scompare a cinquant'anni esatti dalla morte del suo "totem", ma solo fisicamente. Perché Giuseppe Valdengo dal 1957 a oggi non ha vissuto, nel vero senso della parola: è sopravvissuto, annegando tra i ricordi, parlando e cantando con le sue ombre lontane,a volte benevole, a volte minacciose. Il baritono Valdengo, artisticamente parlando, finì con la morte di Toscanini. La Valle d'Aosta è una grande, meravigliosa prigione. Cinta dalle vette più alte d'Europa, ogni giorno uguali eppur cangianti, attraverso le rifrazioni magiche dei raggi solari o delle nubi, che si posano sul Col di Joux o sul massiccio del Monte Bianco. La casa di Valdengo è appollaiata poco sopra Saint-Vincent (...) Lo conobbi la prima volta grazie al maestro Luciano Bettarini (che insegnò canto ad Ettore Bastianini, Ferruccio Tagliavini ed infine ad Andrea Bocelli, tra gli altri). Bettarini passava l'estate a Ivrea, a trenta chilometri da Saint-Vincent e fu sua l'idea di andare a rendere omaggio al mitico baritono, un giorno in cui nessuno sapeva cosa fare. Fummo accolti con il tipico atteggiamento del piemontese educato, cortese ma diffidente, sempre pronto a difendersi in caso di attacco; mi sentivo un intruso, dico la verità. La casa era carina, non grande ma sistemata con cura. Nel soggiorno un grande pianoforte a coda e le pareti interamente tappezzate da fotografie e ritratti, la maggior parte con autografo: Jussi Bjoerling, Mario Del Monaco, Cristina Barbieri, Giuseppe Di Stefano, Herva Nelli, la Renata Tebaldi ed Arturo Toscanini. Non tardavi ad accorgerti che Toscanini era ovunque: ritratti, cammei, foto, busti, medaglioni, copertine di dischi. Su tutti dominava un quadro a olio che raffigurava di profilo il Maestro e dietro a lui, come un'ombra anch’essa di profilo, Giuseppe Valdengo. Nell'ombra di Toscanini, quel quadro diceva tutto (...) Un turbinìo di aneddoti, documenti, rivelazioni, e un fiume di insulti rivolti a tanti protagonisti del mondo operistico posti al di fuori, s'intende, dell'orbita toscaniniana: da Gianandrea Gavazzeni a Herbert Von Karajan, da Riccardo Muti a Claudio Abbado, nessuno escluso. Inutile elencare i nomi dei cantanti. Ne salvava pochissimi: Del Monaco, la Tebaldi, un pochino Di Stefano, Cesare Siepi, Tancredi Pasero, Aureliano Pertile... ma non andava oltre. Non sto a ripetere cosa diceva di Maria Callas, per lasciare intatta la sua memoria nel trentennale dalla scomparsa. Era un uomo amareggiato, nonostante i grandi successi e la gloria acquisita, indubbiamente per meriti artistici e non per raccomandazione. Una solida formazione musicale (diplomato oboista), una bella voce di baritono lirico, piuttosto chiaro, dal colore che all'anziano Toscanini ricordava il prediletto Mariano Stabile, la stessa eleganza nel porgere, la stessa dizione scandita, persino molti accenti. Sapeva legare, sapeva cantare piano (memorabile resterà l'attacco di "Ma tu re, tu signore possente" nel secondo atto di "Aida"), sapeva modulare, aveva una bella figura slanciata, una faccia simpatica, non gli mancava nulla. Il carattere, però. Un caratteraccio. Non la mandava a dire. In un ambiente che della diplomazia (per non dire "ruffianeria") ha fatto addirittura un culto, un modus vivendi, Valdengo si muoveva male: sottolineava, lui musicista, gli errori dei colleghi più impreparati, spesso intervenendo con brutalità. Le prove del leggendario "Falstaff" con Toscanini dimostrano che, colto in fallo, rispondeva addirittura al Maestro, facendolo inferocire: "Fai meno recite e presentati più preparato!", "Eh Maestro, devo pure mangiare!", "Mangiare! Mangiare! Quella brutta parola..." urlava Toscanini. Aveva l'ossessione dei filmini, girava sempre con la telecamera, al punto tale da riprendere persino Siepi in bagno e Di Stefano, ubriaco, circuìto da un'assatanata Barbieri. Cosa che, ai diretti interessati, non piacque affatto. Morto Toscanini, che lo plasmò a suo piacimento per le registrazioni storiche di "Aida", "Otello" e "Falstaff", Valdengo restò ancora in America e poi approdò in Italia, convinto di trovare una marea di contratti. Fu invece la più amara delle sue delusioni: il fatto di essere stato "il baritono di Toscanini" gli attirò invidie e maldicenze, un po' in tutto l'ambiente (...) Già verso il 1965 non se lo filava più nessuno, eccezion fatta per i modesti dischi dei fratelli Fabbri, un "Barbiere" col tenore Antonio Cucuccio (lui che aveva cantato con Bjoerling e Di Stefano!), un "Elisir" con un declinante Tagliavini... dischi registrati a Praga, sotto la neve, in condizioni da accampati e senza una lira. A pensarci bene ne aveva di ragioni per essere perennemente incavolato. Il carattere da battagliero si trasformò in depresso, brutta cosa. Andò via da Torino e si spostò nella villetta valdostana. Gli fu "regalata" da una coppia di svizzeri fanatici di Toscanini: "Quanto può pagarla, Maestro?" gli dissero e lui: "Un milione di lire (cinquecento euro)! , "Ecco le chiavi! La casa è sua!". Le cose andarono così (...) Piangeva spesso... povero, caro Valdengo: quante sere ad ascoltarlo, a sentirlo rievocare Toscanini di cui parlava con amore e con odio, in egual misura. L'ho visto ancora piangere da Bruno Vespa, pochi mesi or sono, in occasione della puntata dedicata a Toscanini. "Scusate se piango" , disse , "ma è un pianto di gioia!". Ora ha raggiunto il Maestro e se il Paradiso è il Paradiso, come noi tutti speriamo forse un po' stupidamente, beh... allora spero che lassù Valdengo incontri il suo fantasma e prima di abbracciarlo, gli dia una bella pedata sul sedere, liberatoria". Ciao, Maestro, domani brinderò al tuo compleanno, pensando ad una frase del tuo amato "Falstaff": "Tutto nel mondo è burla. L'uom è nato burlone".