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25 mag 2013

Divago, in bicicletta

di Luciano Caveri

So che ci sono tanti problemi, ma oggi, dopo aver parlato tanto di argomenti più o meno impegnativi, divago. Mi tocca andare in bicicletta: mi obbliga il fisioterapista. E tra la "cyclette" e la sua monotonia, confidando nella "bella stagione" - ma ormai siamo in regime monsonico - mi sono comprato una mountain bike, cioè, in italiano, una bicicletta. Due volte alla settimana, quando Giove pluvio lo consentirà, pedalerò per un'oretta e mezza, come da prescrizione. Il mio mentore ciclistico assicura che in breve tempo diventerò tossico e quindi ci sarà un'escalation che mi porterà ad appassionarmi. Io dubito e mi atterrò all'uso terapeutico, perché ho amici ciclisti che parlano solo più di bicicletta, sono degli ossessi delle due ruote e predicano la "religione del pedale" come se fossero in una vera e propria setta. Ma la bicicletta mi fa tornare indietro nel tempo. Il primo flash dei regali di Natale mi restituisce l'immagine fané di un triciclo rosso, che mi diede una delle prime scariche di adrenalina della mia vita. Poi l'operazione delicata con l'uso dalle rotelle per poi imparare ad andare in bici: un passaggio iniziatico, tipo ammazzare un serpente nella foresta amazzonica. Sappiate - chi ha bimbi piccoli lo sa - che oggi le rotelle non si usano più: si spinge la bici coi piedini e si passa, infine, ai pedali. I produttori di rotelle sono falliti. La bici della mia infanzia era una "bici cross" verde a tre marce con cui ho macinato chilometri in tutta la bassa Valle, nelle stradine dell'envers in un perimetro tra Arnad e Montjovet, partendo da Verrès. All'epoca i genitori accettava tranquillamene che uno sparisse per giri in bici infiniti nella logica «niente notizie, buone notizie». Più grande comprai una bici da corsa usata, ma la adoperai poco: le dinamiche della zona erano che partivi in giù - la "Montgiovetta" era il mio "Galibier" - e in genere "osavo" verso il Canavese più profondo e poi mi maledicevo per la lunghezza del rientro, in genere, come un Fantozzi ciclista, con il vento contro. Ora la mia mountain bike mi pare un'evoluzione della specie, con un sacco di marce e una sua eleganza. Stento a capire perché siano spariti i fari e dunque niente dinamo, per cui suggerisco in questi ultimi giorni alla maggioranza regionale di lanciare. in vista delle elezioni, l'operazione "una dinamo per tutti" (anche cinesi, come gli acquisti di "Cva") per evitare che i ciclisti - a parte un lumino - siano invisibili al buio e dunque ottimo bersaglio mobile per gli automobilisti. Ora - è l'ultima scelta impegnativa - devo decidere cosa mettere nella borraccia. Brancolo nell'incertezza: le bibite energetiche le boccio, l'acqua pare banale, con il "Negroni" temo gli alcoltest e non c'è più la "spuma" di un tempo.