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03 mag 2013

Togliere la maschera

di Luciano Caveri

Se la politica fosse solo l'intermezzo fra un'elezione e un'altra sarebbe poca cosa. Mario Monti, quando ancora sembrava volare alto, citò la celebre frase di Alcide De Gasperi, che diceva: «Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione». Poi Monti ci è cascato e ha svestito i panni camuffati da tecnico e si è presentato alle elezioni, ma la frase resta e credo vada inquadrata per evitare che sia uno slogan di antipolitica. De Gasperi sapeva bene dell'importanza delle elezioni: prima di approdare nel Parlamento italiano, era già stato deputato in quello austriaco. Ma aveva una coscienza del fatto che i politici non possono essere ossessionati dal consenso elettorale, perché questa idea fissa rischia di avvelenare la politica, trasformandola in una macchina di voti con il rischio che clientela e affarismo la inquino in profondità.

Questo atteggiamento miope di perenne campagna elettorale, che costringe a coltivare il proprio "piccolo orticello", impedisce quella visione ampia del futuro, che distingue appunto lo statista, che è obbligato al difficile esercizio del quotidiano e a tener conto dei consensi per farlo, ma senza avvelenare le sorgenti che serviranno in futuro. Questa riflessione vale per tutte le elezioni e obbliga il cittadino a fare attenzione al politico che non rappresenta la realtà, che nasconde l'evidenza, che dice solo quello che il cittadino vuole sentirsi dire, che promette l'impossibile, che usa risorse pubbliche per dare gli interessi suoi e dei suoi amici. Chi si comporta come le sirene con Ulisse, attirando l'elettorato solo per ottenerne il voto, va isolato. Per questo bisogna sapere ascoltare bene e distinguere con alcune accortezze certi discorsi e per questo valgono alcuni principi. Il primo è l'onestà personale senza "se" e senza "ma". O senza avere quell'idea balzana per cui, in fondo, il politico è importante che faccia le cose e se poi ci guadagna qualcosina... Chi dice questo cose è complice di chi ruba, perché non esistono giustificazioni. Non ci sono furbi o fessi, perché la morale non è graduata a seconda della comodità o del tornaconto. Quando i piaceri non sono diritti e i favori fanno torto a qualcun altro, allora si sviluppano fenomeni corruttivi che violano i diritto di altri e feriscono la stessa libertà di chi accetta le proprie catene. La seconda questione è proprio quella di pensare alla prossima generazione. Chi non lo fa non capisce quel legame che lega, come una cordata in montagna, tutte le generazioni, specie in una piccola comunità come la nostra. Questo vale dall'ultimo dei neonati al più vecchio dei centenari. Un disegno di sviluppo equilibrato - e in questo il pensiero federalista è una garanzia - che abbia tutte le persone alla propria attenzione in politica come nella vita. Non si tratta di essere moralisti o borbottoni, ma di avere come logica l'isolamento delle mele marce, che piano piano rovinano tutto il cesto. Basta con l'accettazione di certe storture, magari ben nascoste proprio agli occhi degli elettori, dietro sorrisi, bonomia e disponibilità. Va tolta, con decisione, la maschera.