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19 mar 2013

Per raccogliere i frutti

di Luciano Caveri

Chiunque può fare politica: si tratta di un assunto imprescindibile in democrazia. L'articolo 49 della vigente Costituzione indica la strada: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". Bello quel "liberamente" e quel "metodo democratico", che pesano come un macigno in caso di sbandamento e che derivano - nelle menti dei costituenti - dal freddo polare del ventennio fascista, quando un partito fu incarnazione di un regime e di un dittatore. Questo è passato remoto ma certe circostanze storiche, mutatis mutandis e cioè tenendo conto dei momenti e dei contesti, possono riapparire all'orizzonte per il carattere mutevole ma talvolta ripetitivo della Storia. Quest'attuale libertà significa anche godere dell'elettorato attivo (votare) e di quello passivo (essere votati). Fin qui non ci piove, ma resta da chiedersi quali caratteristiche debba avere chi entra, come eletto, nei diversi livelli istituzionali. Teoricamente nessuno: la mia frequentazione di assemblee di vario genere, dal livello regionale a quello europeo attraverso l'esperienza nazionale, mi confermano di come personalità molto diverse, dotate di background assai differenti, con età e livello culturale molti diversificati e provenienti da schieramenti variegati possono essere unite dal destino di essere colleghi. Ma c'è un "però". Questo "liberi tutti" che abbatte barriere e steccati nel nome di quel principio nobile e impegnativo che è l'eguaglianza, in cui si bilanciano - perché questa è la forza della convivenza civile e delle sue regole - diritti e doveri, significa infatti padroneggiare alcuni principi. Le istituzioni sono di tutti, così come i valori costituzionali e dunque chiunque ci entri deve farlo con rispetto di sé e degli altri. Questo vuol dire che ogni polemica politica e ogni contrapposizione fra idee si basa sul confronto fra persone che si rispettano, per quanto diverse possano essere storie e posizioni. Altrimenti si passa dal confronto democratico e dalla dialettica politica alla violenza e all'eversione. Ma vi è un altro elemento: la politica e l'amministrazione, che spesso convivono in un eletto, costano studio, lavoro, costanza e doti sia di ascolto che di parola. Come in tutte le attività umane e qualunque sia lo schieramento cui si appartiene tutti devono avere l'umiltà di capire norme, regolamenti, prassi che sovrintendono le istituzioni anche per chi entra per cambiarle in profondità. Qualunque neofita - ed ogni esperto di oggi lo è stato quando cominciò ad occuparsi di politica - deve avere l'umiltà di imparare e non pensare, come si dice scherzosamente, di essere "studiato". Scriveva don Luigi Sturzo: «Nella politica, come in tutte le sfere dell'attività umana, occorre il tempo, la pazienza, l'attesa del sole e della pioggia, il lungo preparare, il persistente lavorio, per poi, infine, arrivare a raccoglierne i frutti». Da meditare.