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17 mar 2013

Il primo giorno di una Legislatura già kaput

di Luciano Caveri

Una volta in politica - con le dovute eccezioni - esistevano forme di bon ton, che non era corporativismo, ma educazione per evitare un eccesso di veleni. Personalmente mi attengo a certe regole, pur avendo riscontrato che c'è chi invece ama, anche in Valle, forme di cattiveria. Ma certi atteggiamenti prima o poi tornano indietro come i boomerang. Attenendomi al galateo, con simpatia e spirito cavalleresco, pensavo stamani ai due neofiti parlamentari valdostani, Albert Lanièce e Rudi Marguerettaz, che oggi entrano rispettivamente al Senato e alla Camera, in occasione della prima seduta del Parlamento. Capisco, avendola vissuta, la grande emozione e l'evidente onore di avere il privilegio di ricoprire questo ruolo. È indubbio come questa XVIIesima Legislatura nasca sotto una cattiva stella e già il numero non è dei preferiti, pensando che in Italia sugli aerei - in una par condicio per superstiziosi - non ci sono sedili né al "13" né al "17". Ricordo perché in Italia è nefasto in un articoletto su "La Stampa", che così spiegava: "Sulle tombe dei defunti era comune la scritta «VIXI» («ho vissuto», cioè ora «sono morto»): durante il Medioevo le popolazioni italiane che avevano abbandonato il latino in favore dei dialetti e che attraversavano un periodo storico caratterizzato da analfabetismo, confusero tale iscrizione con il numero 17 (rappresentato da XVII nel sistema numerico romano)". In effetti come vitalità l'attuale Legislatura non brilla e c'è un bel da dire che la colpa è della legge elettorale e dello spezzatino uscito dalle urne. Io penso che ci sia una crisi profonda dello Stato, che rischia di minare la democrazia. Ognuno può trovare mille ragioni da addurre: io mi limito a pensare che siamo di fronte al fallimento senza dubbio della partitocrazia rinata con periodicità dalle proprie ceneri, ma anche della forma di Stato di questa Repubblica che si sta lentamente allontanando dall'Europa e chi ne gioisce non coglie il senso della tragedia se diventassimo un Paese escluso dall'Unione. L'Italia delle autonomie, incerta e balbettante, ha avuto una crisi profonda con il centralismo berlusconiano, diventato pernicioso con Mario Monti. A questo picco centralista ha corrisposto un attacco concentrico contro il sistema regionale e comunale, in particolare con una messa in stato d'accusa delle autonomie speciali del Nord con tagli finanziari e invasioni di campo dello Stato sul terreno del rispetto degli Statuti d'autonomia. Questa resa dei conti ha avuto risposte deboli anche in Valle d'Aosta, dove troppo spesso si è chinato il capo obbedienti a certi diktat romani e ho molti esempi concreti pronti per gli eventuali scettici. La "rivoluzione federalista" - e non certo l'idea balzana che una confusa democrazia digitale si possa sostituire alla realtà in carne e ossa - resta l'unica praticabile come alternativa al degrado per modificare la Repubblica. Penso che ci si debba davvero ribellare a certe logiche di rassegnazione.