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08 dic 2012

Questa maledetta crisi

di Luciano Caveri

Ti guardi attorno qui da noi per facilità d'orizzonte, esamini poi il "caso italiano" e il quadro recessivo, osservi l'Europa e la sua lentezza decisionale e pensi a questo mondo, ancora piu vasto, così complesso e intrecciato. La logica è quella di una parola già desueta, che è stata "glocal", che in questo caso rappresenta una fregatura globale e locale che viaggiano di pari passo. Un effetto domino che abbiamo visto tutti applicato ad un'economia che ha minato tutto il resto. E ci si chiede: allora questa crisi? La domanda, dopo aver dominato purtroppo per anni la scena, è diventata quasi un tabù nelle chiacchiere quotidiane. In sostanza mettere la sordina è stato un modo per esorcizzare questa maledizione, la cui coda è diventata talmente lunga da stufare. Anche io ho finito per scriverne poco ultimamente, come se questa crisi fosse simile ad una malattia incurabile, cui ci si è tristemente abituati e se parla sottovoce. Anzi, una malattia contagiosa di cui vergognarsi e che finisce per diffondersi dappertutto e preoccupa, angoscia e percorre le nostre vite e tutta la società, facendo vacillare anche certezze e tranquillità e proponendo una situazione d'incertezza che non molla l'osso. Ieri un amico imprenditore mi diceva due cose. La prima: «i miei dipendenti hanno già speso la tredicesima ancora prima di averla ricevuta ed è un brutto segno, perché non è mai successo». La seconda: «io non vedo ancora nessuna luce in fondo al tunnel buio in cui siamo, ma qualche percezione che le cose possano migliorare, forse». A tutti sarà capitato di sentire storie così in cui la quotidianità pesa più dei grandi scenari dell'economia internazionale. Ricordo come la Regina Elisabetta, in visita alla "London School of Economics" nel novembre del 2008, quando era esplosa la crisi, apostrofò i professoroni con un micidiale: «Come è possibile che nessuno si sia accorto che stava arrivandoci addosso questa crisi spaventosa?». Oggi, guardando a noi, penso alla disoccupazione, mai così alta in Valle d'Aosta, che percorre ogni famiglia e scuote in particolare i giovani, sommando scoramento allo scoraggiamento generale. Mi riferisco alla rete di tagli dovuti alla forbice fra riduzioni varie al nostro riparto e la trappola del l'impossibilità di spendere il denaro per il "Patto di stabilità". So che è una solfa già nota, ma se morde già adesso in Valle questo dimagrimento improvviso della spesa pubblica le cose peggioreranno ancora nei prossimi anni ed è bene che si sappia. Pessimista? No, dovessi dire penso davvero che, malgrado le difficoltà non siano finite, il peggio sia passato e si debba guardare avanti costi quel che costi.