Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
15 nov 2012

Fra lupi e escrementi

di Luciano Caveri

Non sono superstizioso: amo i gatti neri, passo sotto le scale, se verso il sale me ne sbatto e non ho portafortuna con me. Rispetto chi ci crede (o ci casca) e un giorno scriverò di politici che si sono fatti fare previsioni da chiromanti e maghi. Incredibile ma vero perché finché si scherza, si scherza. Per questa mia indifferenza verso l'occulto ogni tanto faccio delle gaffe, con l'uso di «auguri» e «buona fortuna» in circostanze sbagliate con persone che reagiscono con nervosismo e fanno gli scongiuri. Ed io prontamente reagisco con «in bocca al lupo!», così sono tutti contenti, meno il lupo che tradizionalmente «crepa». L'altro giorno guardavo cosa dicesse in proposito il bel sito dell'Accademia della Crusca, che accorcio in buona parte: "I dizionari consultati in merito sono concordi nell'attribuire alla locuzione "In bocca al lupo!" una funzione apotropaica, capace di allontanare lo scongiuro per la sua carica di magia. L'origine dell'espressione sembra risalire ad un'antica formula di augurio rivolta per antifrasi ai cacciatori, alla quale si soleva rispondere, sempre con lo stesso valore apotropaico "Crepi!" (sottinteso: il lupo). L'augurio, testimonianza della credenza nel valore magico della parola, si sarebbe esteso dal gergo dei cacciatori all'insieme delle situazioni difficili in cui incorre l'uomo. (...) L'augurio "In bocca al lupo!" potrebbe essere ricollegato anche ad altre numerose espressioni che hanno per protagonista il lupo, nonché all'immagine stessa di questo animale nella lingua. Il lupo appare nella tradizione antica e medioevale come il pericolo in persona: animale crudele, falso e insaziabile nella sua voracità egli seminò la morte e il terrore tra abitanti indifesi, pastori e cacciatori, diventando l'eroe di favole (da Esopo e Jean La Fontaine alle numerose versioni del Cappuccetto Rosso) nonché di numerose leggende e storie tramandate per generazioni attraverso l'Europa". Ma quel che mi diverte è come se vai nel mondo francofono si usa il più prosaico «Merde!» e per altro va detto che il termine ha usi plurimi e vari. Nel caso in esame - me lo raccontava divertito un collega consigliere regionale - la storia della parola portafortuna è divertente e la riporto come capiata da un sito qualunque: «Il s'agit à l'origine d'une superstition théâtrale, qui s'est élargie à tous les secteurs. Souhaiter "bonne chance" porterait malheur, et l’expression a donc été remplacée par un autre mot. Le choix du mot "merde" daterait de l'époque où les spectateurs se faisaient déposer en calèche devant les théâtres, halte durant laquelle les chevaux en profitaient pour se soulager et garnissaient la rue de crottin. Cette "garniture" étant directement proportionnelle au nombre de spectateurs, c'était faire preuve de bienveillance que de souhaiter "beaucoup de merdes" aux artistes». Insomma, ogni epoca ha nei trasporti una sua forma d'inquinamento. Io resto convinto che, sincronizzando gli orologi, potremmo dire più facilmente «auguri» senza dover evocare il lupo e gli escrementi. Ma temo che abbia ragione il napoletanisissimo Eduardo De Filippo, che diceva sul filo del paradosso: «Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male».